Gara di cinismo nei partiti di destra e di centro, e anche nel governo, verso un provvedimento saggio e fondamentale per il funzionamento della Giustizia. Lo chiedono anche i giudici ma non è utile al potere
Quest’estate il Parlamento ha approvato l’indulto - cioè lo sconto di pena per i detenuti e per i condannati al carcere - con una maggioranza molto larga, di oltre i due terzi (la legge chiede questa maggioranza, cioè un accordo che vada oltre gli schieramenti di destra e sinistra, per approvare provvedimenti di clemenza). E’ stato difficile ottenere i due terzi dei voti alla Camera e al Senato. Ci si è riusciti perché si sono incontrate spinte diverse. Quella delle correnti politico-culturali più garantiste - sia nel campo liberale che in quello della sinistra - quella dei settori cattolici condizionati dalle pressioni che erano state esercitate da Giovanni Paolo II, e quella di pezzi - meno limpidi - del partito, diciamo così, di Tangentopoli, cioè degli amici di uomini politici o di “potenti” nei guai con la giustizia che cercavano una via personale d’uscita. Questa alleanza ha prodotto un provvedimento che io ritengo sacrosanto, che questo giornale (quasi da solo) ha appoggiato con molto impegno, sulla base di considerazioni politiche, di principio e umanitarie, pur sapendo bene che settori vastissimi - largamente maggioritari - di opinione pubblica, e anche di nostri lettori, erano assolutamente contrari. Mi è capitato nei mesi scorsi, spesso, di discutere animatamente con questi lettori, coi nostri compagni, con il risultato - di solito - di restare ciascuno sulle proprie posizioni. Ma oggi il problema non è questo, cioè non riguarda i nostri dissensi (sull’idea di giustizia, di pena, di perdono, di vendetta, di risarcimento, eccetera), riguarda invece l’ineguagliabile spettacolo di cinismo offerto dalla maggior parte del mondo politico di fronte amnistia. Cosa è successo? Semplicemente questo: in tutta la storia repubblicana, indulto e amnistia sono stati provvedimenti legati uno all’altro; si concede l’indulto e si concede l’amnistia. Qual è la differenza tra queste due misure? La prima estingue la pena, la seconda estingue il reato. Non cambiano molto le cose per quel che riguarda le condanne già passate in giudicato (processi chiusi, pena ridotta o cassata e stop). Cambiano le cose, invece, per i processi in corso e quelli ancora da cominciare. I processi che riguardano reati che saranno puniti con pene lievi, coperte dall’indulto, in assenza di amnistia dovranno comunque svolgersi, e avranno due possibili conclusioni: o l’assoluzione dell’imputato o la condanna a una pena non applicabile. Il Consiglio superiore della Magistratura ha fatto notare questa incongruenza e su questa base ha sollecitato l’amnistia. Dicono i giudici: «Il 90 per cento dei processi che svolgeremo nei prossimi anni saranno inutili perché non possono erogare pene. Cancelliamo questi processi, alleggeriamo il nostro lavoro e le cose funzioneranno meglio». Ora, è chiaro che si possono avanzare varie obiezioni alle argomentazioni dei giudici. Prima obiezione: i processi non servono solo ad erogare pene ma anche assoluzioni. Seconda obiezione: i processi, in caso di colpevolezza, non producono solo anni di carcere ma anche risarcimenti alle vittime. Terza obiezione: i giudici non dovrebbero chiedere leggi, ma applicarle. Quando i giudici si impicciano nel potere legislativo non è mai un bene, come non è un bene quando il potere politico cerca di condizionare i giudici. Detto tutto questo, il problema esiste ed è chiarissimo. L’amnistia va varata perché il buonsenso dice che è utile. Chi si oppone all’amnistia lo fa esclusivamente per una ragione: ritiene che possa scalfire i consensi del proprio partito. E allora se ne frega della ragionevolezza, se ne frega dei principi, se ne frega anche dei proclami di garantismo dei quali era stato autore negli anni passati. Di fronte all’amnistia, a parte la sinistra radicale e i centristi dell’Udc, i garantisti sono scomparsi. Come è possibile? E sono scomparsi - sembrerebbe - anche i programmi di governo. L’Unione aveva sottoscritto l’impegno all’amnistia: perché ora il governo non se ne fa carico? Naturalmente non è che sia tutto così semplice. Non si scrive un provvedimento di amnistia in cinque minuti, bisognerà calibrarlo bene e risolvere, ad esempio, il problema dei risarcimenti e altre questioni giuridiche complicate. Ma l’esistenza di questi problemi non è una buona ragione per infischiarsene dei propri principi e degli impegni assunti prima delle elezioni. |