Censis: in Italia migliora l'integrazione
Ma servono riforme politiche reali
ROMA - Poca concentrazione sul territorio, aree di origine molto eterogenee, basso tasso di disoccupazione: il Rapporto 2006 del Censis sulla situazione sociale del Paese fotografa una tenuta del modello di integrazione socioeconomica degli immigrati. Tra i fattori che, secondo il Censis, concorrono a caratterizzare positivamente il caso italiano, rendendolo meno esposto a rischi di tenuta della coesione sociale, c'è la scarsa concentrazione della presenza straniera a livello territoriale. Gli addensamenti sono limitati e riguardano soprattutto alcuni capoluoghi del Centro-Nord a prevalente vocazione industriale (Prato, Brescia, Treviso). Nelle due metropoli, Roma e Milano, gli immigrati non superano il 9% della popolazione, nulla se raffrontato a Londra (dove si concentrano i due terzi dei nuovi arrivati) o la regione parigina (il 40% degli stranieri).
C'è invece uno squilibrio, legato all'offerta lavorativa, tra le regioni del Nord, che assorbono circa il 60% degli immigrati e quelle del Sud, con il 14%. Anche se una recente ricerca del Censis sulla fisionomia del fenomeno migratorio in cinque città del Sud (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Catania e Palermo) segnala un lento ma progressivo mutamento del fenomeno, con una crescita importante delle presenze, una femminilizzazione dei flussi che provengono soprattutto dall'est, e una diffusione del lavoro nero che riguarda sia gli stranieri regolari che quelli senza permesso di soggiorno. E proprio nel Mezzogiorno i processi di integrazione degli immigrati, segnala il Censis, sono molto meno avanzati.
Un altro elemento che aiuta la coesione - a livello nazionale - è l'eterogeneità delle zone di provenienza: in Italia sono presenti quasi 200 cittadinanze, e a questo corrisponde, secondo il Censis, un'assenza di comunità etniche e nazionali nettamente preponderanti e chiuse in se stesse. Terzo fattore, il basso tasso di disoccupazione degli stranieri: il Censis segnala, in particolare, il confortante dato in forte crescita relativo agli extracomunitari titolari di impresa, circa 200 mila nel 2005, che mettono in discussione l'immagine stereotipata dell'immigrato confinato in una marginalità economica dalla quale è impossibile uscire. Infine, il peso che i lavori di cura hanno all'interno dell'occupazione straniera: a fronte di una debolezza delle politiche pubbliche legate all'assistenza, afferma il rapporto, dai 500 ai 700 mila immigrati sono occupati nella collaborazione familiare, un lavoro che tra l'altro ha favorito un rapporto stretto fra stranieri e famiglie italiane.
A fronte di questi elementi positivi, il rapporto sottolinea come, invece, il disagio abitativo possa essere considerato un fattore di rischio, che aumenta considerevolmente quando si considera l'area dell'irregolarità. La clandestinità, si sottolinea, comporta spesso situazioni di emarginazione sociale, ovvero condizioni di vita che corrispondono a vere e proprie forme di schiavitù, dalle oltre 20 mila prostitute straniere ai lavoratori in nero in agricoltura o nei cantieri edili. Tutti fattori, secondo il Censis, per i quali non si intravede ancora un netto cambiamento di rotta.
In particolare, è sempre più rilevante l'impatto economico generato dagli immigrati: dal rapido incremento dei titolari di imprese extracomunitari (+27.000 dal 2004 al 2005) alla diffusa presenza di lavoratori immigrati nel sistema delle cooperative, spesso in veste di soci. Cresce anche l'accesso ai servizi bancari: nel 2006 oltre il 40% delle famiglie straniere dispone di un conto corrente e di un bancomat, il 17% ha un conto presso le Poste italiane e il 16% ha un libretto di risparmio in banca o alle Poste.