Il fisco fa più sconti a chi ha figli minori
Sarà più facile ottenere sconti sulle tasse da pagare per i lavoratori che hanno figli a carico nel proprio Paese d'origine. Lo prevede un passaggio del maxiemendamento alla legge finanziaria. E' stata approvata una richiesta presentata dalla Cisl del Veneto. Per dimostrare di avere figli a carico, non si dovrà più presentare un certificato rilasciato in patria, ma si potrà ottenerlo dal proprio consolato in Italia, mentre l'anno successivo basterà un'autocertificazione. Il risparmio previsto è di 40 euro al mese per figlio
ROMA - Sarà più facile ottenere sconti fiscali per i cittadini stranieri che hanno figli in patria. Lo prevede il maxiemendamento alla finanziaria approvato dal Senato il 13 dicembre. All'interno dell'emendamento, infatti, è stata inserita una proposta avanzata dal senatore Tiziano Treu su richiesta della Cisl e dell'Anolf del Veneto.
Fin dall'ottobre 2003, la Cisl chiedeva al governo di modificare un articolo della legge 326 del 2003, intitolato “Società civile, famiglia e solidarietà” (vedi Metropoli n. 30 del 24 settembre 2006).
Con quell'articolo di legge, il governo di centrodestra aveva obbligato i cittadini stranieri che volevano ottenere una deduzione fiscale (uno sconto sulle tasse) per i figli a carico rimasti nel Paese d'origine a una procedura particolarmente lunga e complicata.
Lo sconto sulle tasse che può ottenere chi ha un figlio a carico ammonta oggi a circa 40 euro al mese. Prima del 2003, per dimostrare diritto alle deduzioni, bastava un'autocertificazione. "Qualcuno però ne aveva approfittato", spiega Graziano De Munari, coordinatore dei Centri di assistenza fiscale della Cisl in Veneto: a Vicenza la guardia di finanza aveva scoperto famiglie con qualche figlio di troppo. Da qui era nata la decisione di inasprire i controlli. Anche per i figli che vivono in Italia: mentre agli italiani basta tuttora un'autocertificazione, gli stranieri devono presentare lo stato di famiglia.
Ma la riforma del 2003 ha colpito soprattutto i lavoratori dipendenti immigrati con figli in patria. Che da quel momento in poi, per ottenere le deduzioni fiscali, sono stati obbligati a presentare al datore di lavoro un certificato di famiglia originale, tradotto e "asseverato" (cioè dichiarato conforme all'originale) dalla rappresentanza italiana nel loro Paese d'origine.
Una procedura quasi impossibile, ma soprattutto lunga e costosa per i lavoratori immigrati in questa situazione (secondo la Cisl, 35mila persone solo nel Veneto). In alcuni Paesi, per avere un appuntamento al consolato italiano e farsi convalidare i certificati, bisogna aspettare mesi e pagare centinaia di euro. Riuscirci è quasi impossibile nei Paesi in guerra (la certificazione è obbligatoria anche per i rifugiati politici), o quando il consolato si trova a migliaia di chilometri; come nel caso dei moldavi, che devono far riferimento addirittura alla rappresentanza italiana in Romania.
Quando è entrata in vigore, la legge 326/2006 ha sollevato un coro di proteste. Negli anni scorsi, anche l'Assindustria (Associazione industriali) del Veneto è intervenuta per chiedere di abolire la nuova norma. Ma finora non era stata ottenuta risposta.
Con l'approvazione delle nuove regole contenute nel maxiemendamento alla finanziaria, l'immigrato dovrà comunque documentare di avere figli in patria, ma potrà farlo in modo più semplice, rapido ed economico. Anziché il certificato originale, se ne potrà presentare uno rilasciato dal consolato del proprio Paese in Italia, tradotto e "asseverato" in prefettura. Quindi si potrà ottenerlo senza uscire dall'Italia. L'anno successivo basterà un'autocertificazione; i certificati dovranno essere presentati di nuovo solo se la situazione familiare è cambiata.
Secondo il sindacato, solo in Veneto sono 33-35.000 i dipendenti stranieri che hanno diritto alle deduzioni per i figli in patria. Se si considera che abbiano in media due figli, ognuno di loro potrebbe avrebbe uno sconto di circa mille euro all'anno. Ne risulta che il valore complessivo delle deduzioni è pari a 35milioni di euro solo in Veneto, dieci volte tanto in Italia.
“Si chiude così – commenta Franco Sech, segretario della Cisl del Veneto - una brutta parentesi di discriminazione verso migliaia di lavoratori. Si era voluto togliere loro l'opportunità di beneficiare di un piccolo reddito che, guarda caso, corrisponde a quanto serve per una adozione internazionale”.
Chiara Righetti