Esattamente un anno fa, il 30 dicembre del 2005, ebbe luogo lo spaventoso massacro, ad opera della polizia egiziana, di un numero di sudanesi che, a seconda delle fonti, oscilla tra 27 persone (a dire delle autorità) e più di 200 (questa la cifra riportata dal Parlamento europeo “secondo i testimoni oculari, la stampa internazionale e le organizzazioni dei diritti dell’uomo”).
Questo 30 dicembre, erano poco più di un migliaio a rivendicare il loro diritto ad essere protetti, ad avere una vita sicura e dignitosa, occupando la piazza Mustapha-Mahmud, a 200 metri dagli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR). Tutti hanno dichiarato di essere oggetto del razzismo “anti-nero” della popolazione araba egiziana. La maggior parte di loro domandava di essere spostata in un altro paese terzo. Ma il rimpatrio verso il Sudan è stata la sola soluzione che l’Hcr ha saputo offrire loro, nonostante il paese non sia ancora stato realmente reso sicuro, e nonostante i profughi temano giustamente il rimpatrio forzato, pratica dell’Hcr ben nota ai rifugiati africani.
Un anno fa, i manifestanti sudanesi sono stati uccisi dal brutale in tervento di 6000 poliziotti, dopo che il rappresentante dell’Hcr aveva considerato il loro dossier "chiuso" e aveva chiesto al governo egiziano di “prendere d’urgenza delle misure appropriate la fine di risolvere questa situazione in maniera pacifica”. Ridotti a un problema di ingombro urbano, le vittime di questo assassinio erano dei “rigettati” (dei closed files, “dossier chiusi”, nel linguaggio dell’Hcr). Erano, di fatto, dei cittadini senza Stato. Meno che dei rifugiati.
Con la creazione dell’Hcr nel 1951, ci si attendeva che questo organismo si facesse garante della protezione (fisica e giuridica) e del rispetto dei diritti dell’uomo per tutte quelle persone che avevano perduto la garanzia di questi diritti da parte del loro Stato di origine. Questo è stato il messaggio universalista che ha ispirato la nascita dell’agenzia dell’Onu, anche se il contesto della guerra fredda allora vigente può lasciare immaginare come abbiano preso il sopravvento anche ragioni di altro tipo. Ci si può chiedere oggi, se l’Hcr non stia puramente e semplicemente abbandonando la sua missione originaria di protezione dei senza- Stato per trasformarla in una generica intenzione umanitaria e morale connessa di fatto con le politiche di controllo dei flussi migratori e di respingimento degli indesiderabili, specialmente in Europa e in Africa.
Appare pertanto necessario aprire un dibattito tanto sul ruolo di questa agenzia dell’Onu, organismo pubblico e internazionale, quanto su quello degli Stati europei. I governi europei, principali finanziatori dell’Hcr fin dalla sua fondazione, hanno infatti al momento attuale una pesante responsabilità ripetto al modo in cui l’agenzia dell’Onu ha subordinato le proprie azioni alle loro politiche ultresecuritarie di controllo delle migrazioni, specie di quelle provenienti dall’Africa nera. L’incapacità dell’Hcr di definire e portare avanti una poliica di protezione dei senza –Stato, e di rilanciare nel dibattito pubblico la questione politica essenziale dei diritti umani e di cittadinanza, si può spiegare alla luce delle politiche forsennate portate avanti dagli Stati contro i profughi originari del Sud del mondo, qualunque siano le ragioni della loro migrazione.
Le situazioni di relegazione estrema che si verificano a livello mondiale da qualche anno, possono arrivare fino alla messa in quarantena territoriale (campi, zones d’attente) e addirittura fino alla morte dei migranti. Oltre il livello dei “rigettati”, ultimo gradino nella scala dei dei ricorsi immaginabili, esiste infatti il diritto di uccidere queste persone. In questo modo, undici rigettati e “clandestini” sono morti, nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 2005, sulle alte barriere di ferro che segnano la frontiera tra il Marocco e l’ enclave spagnola di Ceuta: poliziotti spagnoli e marocchini si sono arrogati il diritto di sparare nel mucchio.
La diffusione mediatica di ciò che è accaduto a Ceuta e Melilla è stata considerevole, focalizzata meno sui morti e più sugli assalti alla frontiera compiuti da qualche centinaia di profughi che, inquadrati da vicino dalle telecamere della televisione, incarnerebbero lo spettro dell’invasione migratoria che ossessiona l’occidente. Qualche settimana più tardi, i morti massacrati al Cairo, dozzine o centinaia che fossero, non hanno fatto discutere così tanto. Sono stati pubblicati alcuni articolo e qualche reportage, iul cui numero resta assolutamente sproporzionato dinnanzi all’enormità del massacro e alle sue implicazioni politiche.
In un momento di scelte politiche in Francia, bisogna restituire un ruolo centrale alle questioni relative all’asilo e ai diritti politici dei senza-Stato (protezione dell vita, diritti fondamentali e riconoscimento del diritto a prendere parola), invece di abbandonarsi a priori alla criminalizzazione di ogni "mondializzazione" dei comportamenti umani- è questo infatti che rappresentano oggi i movimenti migratori, siano essi forzati a causa della guerra o originati dal bisogno di vivere degnamente e di sottrarsi ad un contetso di chaos. Come sperare, che durante la campagna elettorale possano venire condotti dei dibattiti seri, se vengono al contempo occultate le conseguenze delle nostre politiche migratorie alle frontiere dell’Europa? Tra queste i migliaia di morti in mezzo al mare, nelle zone desertiche del Sahara, nei campi per i migranti; la stigmatizzazione dei profughi come una minaccia o semplicemente come un problema, da risolvere attraverso il confinamento, la repressione, l’espulsione o le armi…
é urgente riflettere sulla opportunità di costruire una vera corresponsabilità internazionale che permetta l’esistenza di una cittadinanza possibile per tutti coloro i quali hanno perduto il riconoscimento e la protezione del proprio Stato. Corresponsabilità nella quale il ruolo politico dell’Hcr sia tutto da rifondare avendo come presupposto fondamentale il diritto di tutti i cittadini di circolare liberamente per il mondo, come è sancito dagli articoli 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Unu nel 1948. Corresponsabilità nella quale il ruolo delle istituzioni europee vada di pari passo con la loro rivendicazione di un dominio di competenze relative al controllo delle frontiere comuni, che li porta a rilanciare politiche antimigratorie e securitarie pur di difendere le loro prerogative. Corresponsabilita, infine, delle maggioranze politiche di ogni Stato del mondo occidentale, circondato da un enorme muro di cinta, più visibile al sud degli Stati Uniti, a Ceuta e Melilla o a Gerusalemme, ma che si prolunga sotto altre forme anche intorno all’Australia, alle coste d’Africa o al centro dell’Europa. Come la cortina di ferro che ha diviso a lungo il mondo in due parti, si tratta di un muro che produce morte. Quali partiti politici oggi in Francia reclamano la sua caduta?
(traduzione a cura di Alessandra Sciurba)