Continua ad Agrigento il processo contro Elias Bierdel e altri due componenti della Cap Anamur, la nave umanitaria tedesca che nel giugno del 2004 aveva salvato 37 naufraghi tra la Libia e Lampedusa.
L’udienza che si è svolta il 15 gennaio scorso è stata interamente dedicata all’audizione di due testimoni, rappresentanti del Corpo delle Capitanerie di Porto.
Dalle audizioni è emerso il comportamento sostanzialmente corretto del comandante della nave e del resto dell’equipaggio, che dopo essere entrata nelle acque nazionali in una situazione di emergenza, a causa della situazione psico-fisica dei naufraghi, aveva ottemperato, nelle fasi successive della vicenda, alle istruzioni impartite dalla Capitaneria di Porto.
L’audizione degli ultimi testi evidenzia una contraddizione con quanto affermato nella udienza precedente da Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri, secondo cui la Cap Anamur avrebbe tentato di speronare le imbarcazioni militari che si erano posizionate all’ingresso del porto di Porto Empedocle. Malgrado la riproposizione di questa tesi, già archiviata del giudice delle indagini preliminari, tendente ad aggravare la posizione processuale degli imputati, le deposizioni dei rappresentanti delle Capitaneria di Porto non hanno potuto discostarsi dalle tracce documentali e dalle registrazioni telefoniche già agli atti del processo, dai quali si evince inconfutabilmente che la Cap Anamur non realizzò alcun tentativo di forzatura al momento dell’ingresso in porto.
Le televisioni di mezzo mondo avevano peraltro ripreso le modalità di avvicinamento e di ingresso in porto, e da tutte le immagini risultava la assoluta assenza di una volontà difforme rispetto alle istruzioni impartite dalla Capitaneria. Nella fase di ingresso in porto la nave era peraltro condotta non dal Comandante della Cap Anamur ma dal pilota del porto, come avviene di consuetudine quando le navi vanno all’ormeggio. Rimane da domandarsi quali siano le ragioni autentiche di una tale pervicace ostinazione su una tesi già destituita di fondamento al termine delle indagini preliminari, e che ombra proietterà questo atteggiamento sulle successive fasi del processo.
Dalle deposizioni rese nel corso dell’udienza è emerso altresì che nel 2004 non era prassi per le navi commerciali chiedere autorizzazione per l’ingresso nelle acque nazionali, e che la autorizzazione all’ingresso, che comunque era stata tempestivamente richiesta dalla Cap Anamur alla capitaneria di porto, proprio a causa della presenza dei naufraghi a bordo ( dei quali veniva anche comunicata una lista), dopo una iniziale risposta affermativa, veniva revocata per l’intervento del Ministero dell’interno.
Nel caso della Cap Anamur, dunque, si era applicato quel famigerato decreto interministeriale del governo Berlusconi – tuttora in vigore- che affida al Ministero dell’interno i poteri decisionali sui mezzi delle forze navali per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Appare già evidente in queste prime fasi del processo come la discrezionalità amministrativa di una Direzione del Ministero degli interni si sovrapponga alle competenze ed alle decisioni delle autorità marittime e navali, creando i presupposti ( oltre che per pericolosi ritardi ), per una qualificazione a posteriori del comportamento dei soggetti che effettuano interventi di salvataggio, e dunque per una possibile criminalizzazione del loro intervento. E questo appariva evidentemente l’intento del governo del tempo e del ministro Pisanu allora in carica, quando negavano alla Cap Anamur la possibilità di entrare nelle acque nazionali, e poi quando concedevano e quindi ritiravano l’autorizzazione all’ingresso a Porto Empedocle.
Decine e decine di testimoni che sono stati a bordo della Cap Anamur nei giorni del suo blocco al confine delle acque territoriali italiane, alcuni dei quali sono rimasti a bordo della nave fino all’attracco in porto, potranno confermare la buona fede dei responsabili della nave tedesca e la situazione di grave disagio vissuta a bordo dai profughi per effetto delle decisioni assunte dai governi italiano e tedesco, autori con quello maltese, di un vero e proprio balletto diplomatico sulla pelle dei naufraghi e dell’equipaggio .
Hanno voluto mettere sul banco degli imputati gli autori di una azione umanitaria. Adesso tocca alle associazioni europee denunciare ancora una volta, anche a livello internazionale, le contraddizioni ed i tentativi di depistaggio, se non di vera e propria falsificazione dei fatti, posti in essere durante l’intera vicenda della Cap Anamur da parte di diversi agenti istituzionali e delle autorità politiche. Le menzogne e le montature mediatiche che si sono dispiegate contro la Cap Anamur – a partire dall’allarme invasione, in quanto la nave tedesca avrebbe costituito un “pericoloso precedente”- sono ancora oggi attuali e vengono riutilizzati per giustificare i nuovi accordi di riammissione e di respingimento, con il pattugliamento congiunto garantito dall’agenzia europea FRONTEX. Per tutte queste ragioni occorre andare oltre la dimensione giudiziaria del caso, pure assai importante, e riprendere l’iniziativa a livello delle politiche nazionali e comunitarie in materia di immigrazione ed asilo per battere le iniziative sempre più diffuse tendenti a criminalizzare qualunque tentativo di ingresso in Europa e le attività di chi presta soccorso umanitario.
Palermo 16 gennaio 2007
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo