Portopalo, Prodi ripesca il relitto Il governo trova i fondi necessari per recuperare i resti dei migranti annegati. La nave del «naufragio di Natale» del '96 tornerà a galla Patrizia Abbate Palermo Sarà recuperato il «relitto fantasma» e ciò che resta del suo triste carico di morte. Adesso è certo, quasi ufficiale: il governo ha reperito i fondi e affiderà alla Protezione civile il compito di raggiungere lo scafo che si è inabissato dieci anni fa al largo di Portopalo trascinando con sé 283 giovani immigrati, cittadini pakistani, cingalesi tamil e indiani il cui sogno di trovare una nuova vita si è infranto nel Canale di Sicilia, tomba di tante altre giovani vite e speranze.
È stato il premier Romano Prodi a comunicare la decisione, con una breve lettera a Tana De Zulueta, deputato dei Verdi e da anni protagonista di una instancabile battaglia di «verità» su quel naufragio che prima venne ignorato dalle autorità italiane, e poi comunque dimenticato. «Sì, sono felice di confermare che finalmente il governo si muoverà per recuperare il relitto (è a cento metri di profondità) e dare risposte ai familiari di quelle giovani vittime», dice la De Zulueta. «La lettera di Prodi arrivata ieri (venerdì, ndr) e indirizzata a me, segue l'incontro che avemmo due mesi fa, insieme a Nuccio Jovene. In quell'occasione il presidente del Consiglio si era già impegnato, e aveva promesso di avviare uno studio di fattibilità dell'intervento di recupero. Ora conferma che i fondi sono stati reperiti dal Tesoro e che del recupero del relitto si occuperà la Protezione civile», continua la parlamentare, che intende incontrare al più presto Guido Bertolaso per chiarire meglio i termini dell'intervento. «E' un atto liberatorio dopo il silenzio che aveva circondato quella terribile tragedia», dice ancora Tana De Zulueta. Un atto simbolico ma non solo. «Certo recuperare quei corpi non potrà confortare le famiglie, ma loro comunque per anni hanno chiesto almeno questo, poter seppellire i propri cari, poterli sottrarre a quel mare».
Quel mare li aveva inghiottiti la notte di Natale del '96, quando reduci da un terribile viaggio sulla motonave Iohan stipata all'inverosimile, in centinaia furono costretti a trasbordare su un altro scafo che li avrebbe dovuti portare sulla costa siciliana. La barca però fu speronata dalla stessa Iohan e si inabissò tra le onde, mentre gli scafisti si guardarono bene dal soccorrere i naufraghi e fuggirono sulla «nave madre» con altri immigrati ancora a bordo, testimoni atterriti dell'orrore, che a lungo non furono creduti.
«Credo che ci troviamo a un giro di boa, dopo cinque anni in cui fu negata l'evidenza del naufragio, dei corpi che venivano a galla e delle denunce e altri cinque anni di totale sordità del governo Berlusconi», si rallegra il deputato diesino Jovene. «Tutte le nostre richieste erano cadute nel vuoto», così come l'appello dei premi Nobel Dulbecco, Fo, Levi Montalcini e Rubbia, che hanno chiesto anche la realizzazione di un sacrario in memoria di quelle vittime. Ora anche il sacrario si farà, Prodi si è impegnato pure su quello. «Si tratta della più grande tragedia in mare del dopoguerra - continua Jovene - e penso che la scelta del governo sia un riconoscimento importante, e un segnale di speranza affinché non succeda più. Il fatto che dopo la verifica chiesta da Prodi i fondi siano stati reperiti, poi, conferma che ci voleva solo la volontà...».
La memoria, dunque, forse adesso è salva. La memoria e l'omaggio a quei ragazzi, simbolo di tutti gli altri immigrati morti in mare, parecchi forse in altri «naufragi fantasma» di cui non si è saputo. La giustizia, invece, chissà se sarà mai garantita. Nonostante i due processi in corso, a Siracusa e a Catania (che sono andati avanti forse solo per il testardo impegno di superstiti e familiari delle vittime, e dei loro avvocati) la maggior parte dei responsabili di quella tragedia, che molti testimoni assicurano sia stata frutto della totale incuria, se non della volontà degli scafisti di farla finita in fretta con quel «carico», in quella tempesta, non è mai stata rintracciata. E gli unici due imputati, l'armatore maltese Sheik Tourab e il comandante della nave, l'egiziano Allal Youssef, sono liberi da anni, uno a Malta dove gestisce un ristorante, l'altro si suppone a Parigi, salvato dalla giustizia francese che nega l'estradizione.