Dalla lotta armata alla ricerca della pace La storia di Apo è la storia dei kurdi in Turchia Inizia la militanza all'università di Ankara. Il suo arrivo in l'Italia e l'arresto. Poi l'«invito» del governo D'Alema a togliere il disturbo, l'imboscata internazionale a Nairobi e l'agonia a Imrali Orsola Casagrande Abdullah Ocalan nasce nel 1948 nel villaggio di Omerli, area prevalentemente kurda nel sud est della Turchia, non lontano dal confine con la Siria. Comincia la sua attività politica negli anni Sessanta all'università ad Ankara, facoltà di scienze politiche. Ankara in quegli anni, dopo il primo golpe del 1960 e prima del secondo colpo di stato nel 1971, è una città in fermento politico. Nel 1973 Ocalan è tra i fondatori di un gruppo maoista, ma già pensa a come organizzare i kurdi.
Dalla sanguinosa rivolta di Dersim, del 1938, i kurdi hanno cominciato a risollevare la testa negli anni Sessanta. Ma è con Ocalan che esplode la questione kurda, intesa come lotta di liberazione nazionale, ma anche e soprattutto come liberazione dai vincoli e dalla repressione della società feudale (quindi dalla classe dominante). E questa liberazione dal feudalismo non poteva, per Ocalan, che andare di pari passo con la liberazione della donna. Ed è proprio sulla lotta per l'emancipazione della donna che Ocalan vede il fulcro della futura rivoluzione in Kurdistan. Nel 1978 fonda il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Oltre ad organizzarsi politicamente, il Pkk comincia a pensare alla lotta armata. Dalla Palestina, dove erano andati ad addestrarsi nei campi dei guerriglieri di Fatah, tornano alla fine degli anni Settanta tantissimi giovani kurdi e turchi. Saranno loro a costituire le prime brigate di guerriglieri. Il lavoro di propaganda del Pkk (come delle altre organizzazioni di sinistra) è brutalmente represso nel sangue dal nuovo, il terzo in trent'anni, colpo di stato. I militari prendono il potere il 12 settembre 1980. Viene letteralmente annientata una generazione. Nell'84 il Pkk dichiara aperta la guerra, anche armata, con la Turchia.
Fino alla sua cattura, Ocalan abbandona progressivamente l'idea di un Kurdistan indipendente per arrivare ad elaborare una soluzione pacifica, federalista, o (alla fine) di autonomia della zona kurda (non va dimenticato che i kurdi sono 20milioni su una popolazione di 60 milioni). A più riprese il Pkk dichiara dei cessate il fuoco unilaterali, ignorati dalla Turchia. L'ultima tregua il primo ottobre scorso, ma le operazioni militari dell'esercito turco si intensificano.
Ocalan era arrivato in Europa il 12 novembre 1998, nella speranza di portare nell'agenda dell'Unione europea la questione kurda. Un tentativo che aveva messo al centro l'Italia, scelta dai kurdi anche per le aperture e la solidarietà dimostrata dal governo di centrosinistra. Ma una volta sbarcato a Fiumicino (proveniente da Mosca), il leader kurdo venne arrestato. Sotto shock per l'arresto imprevisto, Ocalan rimase a Roma fino al 15 gennaio. Chiese asilo politico, ma le pressioni della Turchia sull'Italia erano pesantissime. Tanto pesanti da convincere D'Alema e il governo a 'chiedere' a Ocalan di togliere il disturbo. Frenetiche le verifiche per trovare un paese disposto ad ospitarlo. Impresa che si rivelò impossibile. A quel punto fu Apo a non volere più stare in Italia.
Una delle immagini più angoscianti e umilianti è quella di Ocalan che sorvola i cieli d'Europa vedendosi negato il diritto ad atterrare. Alla fine l'aereo si dirige in Grecia, dove il presidente kurdo resterà pochi giorni. Quindi nuovo viaggio verso l'ambasciata greca a Nairobi, in Kenya. Ma è un viaggio verso le braccia dei suoi nemici. E infatti Ocalan verrà catturato dai turchi, complici tra gli altri gli Stati uniti, il 15 febbraio 1999. L'altra immagine indelebile in questa tragedia è quella di Ocalan sotto sedativi, la benda agli occhi, le mani legate che farfuglia mentre le teste di cuoio si prendono gioco di lui. La vicenda giudiziaria del leader kurdo prosegue in Turchia, con Ocalan rinchiuso nel carcere-isola di Imrali. Poi il processo-farsa, e la difesa lucida e puntuale di Apo. Quindi la condanna a morte, commutata in ergastolo perché la Turchia congela la pena capitale, nella speranza di accelerare il suo cammino verso l'Ue. I legali di Ocalan fanno ricorso anche alla corte europea per i diritti umani che in prima battuta stabilisce che il processo turco non è stato equo. Ma i turchi esaminano le carte e presentano la loro risposta: non c'è nulla da rifare, i diritti dell'imputato sono stati rispettati. Tanto basta a Strasburgo che accoglie le giustificazioni della Turchia e stabilisce che il caso Ocalan è chiuso. Peccato che il 4 ottobre del 1999 l'Italia gli aveva riconosciuto il diritto all'asilo politico.