di P.Gonnela
È finalmente entrato in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione. Dopo le ratifiche di Bolivia e Honduras, il Protocollo, adottato dall’ONU nel dicembre 2002, ha raggiunto la soglia delle 20 ratifiche necessaria alla sua entrata in vigore. Altre tre ratifiche si sono successivamente aggiunte, quella della Repubblica Ceca, quella della Repubblica Moldova, e per ultima, quella della Repubblica di Macedonia avvenuta il primo settembre 2006. Sale dunque a 23 il numero dei Paesi impegnati dal Protocollo, già ratificato in passato da Albania, Argentina, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Georgia, Liberia, Maldive, Mali, Malta, Mauritius, Messico, Paraguay, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Uruguay.Il Protocollo opzionale ONU fa compiere allo strumentario normativo sopranazionale di lotta alla tortura un fondamentale passo avanti. La Convenzione del 1984, che imponeva agli Stati parte l’adozione di misure legislative e giuridiche per perseguire internamente gli atti di tortura ed escludeva esplicitamente la possibilità di invocare lo stato di guerra quale loro possibile giustificazione, mancava di prevedere strumenti efficaci di controllo della propria applicazione. Il Committee against Torture (CAT) istituito dalla Convenzione ha un valore più simbolico che operativo, limitandosi a ricevere rapporti periodici dagli Stati e potendo effettuare visite dirette solo in casi particolari, e comunque mai senza l’accordo dello Stato ricevente. Come recita invece l’articolo 1 del Protocollo opzionale, il suo obiettivo è quello “di creare un sistema di visite regolari in tutti i luoghi di privazione della libertà effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, al fine di prevenire la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”.A livello internazionale, a un Sottocomitato del Comitato contro la tortura, che lavorerà in collaborazione con le istituzioni nazionali, saranno attribuiti poteri ispettivi universali dei luoghi di detenzione, senza alcuna esclusione neanche per quanto riguarda le aree di guerra. Il prossimo 18 dicembre si terrà un incontro fra i rappresentanti degli Stati parte durante il quale saranno eletti i primi 10 componenti del Sottocomitato.A livello nazionale, ogni Stato parte è oggi tenuto a creare un meccanismo interno di controllo, dando vita a un organismo indipendente i cui compiti e poteri saranno regolamentati dalla legislazione nazionale. Esso avrà tuttavia facoltà di visitare liberamente carceri, stazioni di polizia, caserme dei carabinieri, centri di permanenza per stranieri, vale a dire tutti quei luoghi dove le persone vivono private o limitate nella propria libertà di movimento.
Accanto a una storia piccola e meno conosciuta, che passa nei tanti luoghi di detenzione lontani dalle luci dei media, la grande storia di galere note a tutto il mondo ci ha costretti a constatare l’attualità del tema della tortura. Guantanamo e Abu Ghraib, prigioni gestite da paesi democratici, si sarebbero potute evitare se fosse esistito un meccanismo di ispezione volto a rendere effettivo quel diritto a non subire atti di tortura che la Convenzione dell’’84 si limita a sancire. Ma il Protocollo opzionale - che è uno di quegli accordi internazionali che rendono evidente il passaggio da un diritto internazionale dei diritti umani generico e poco invadente a un diritto che impone invece ai singoli Paesi procedure specifiche limitanti la propria sovranità interna - fu approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU dopo anni di travagliate discussioni. E’ stato firmato fino a ora da 51 Paesi (tra i primi, l’Italia ha apposto la sua firma nell’agosto 2003, senza però averlo a tutto oggi ratificato), e ancora non vede l’adesione di Stati quali Cina, Cuba, Iraq e Stati Uniti. Una rosa di Paesi che tende a ripetersi ogni volta che si tratta di rafforzare gli strumenti sopranazionali sui diritti umani, a partire proprio dai cosiddetti monitoring bodies, gli organismi internazionali di controllo con i quali gli Stati parte sono tenuti a collaborare.
La situazione italiana
Il Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura è entrato in vigore nei mesi scorsi grazie al raggiungimento di venti Paesi ratificatori, come previsto dal Protocollo stesso. L’Italia, purtroppo, non è tra questi. Tra i primi Stati ad apporre la propria firma, il 20 agosto 2003, non ha ad oggi ancora approvato una successiva legge di ratifica.
Tre i disegni di legge presentati alla Camera dei Deputati in questa legislatura (2 ne erano stati presentati nella precedente), che vedono come primi firmatari gli onorevoli Tana De Zulueta (Verdi), Ramon Mantovani (Prc) e Katia Zanotti (Ulivo). I testi autorizzano il Presidente della Repubblica a ratificare il Protocollo opzionale, dandogli piena ed intera esecuzione. I testi sono stati assegnati alla Commissione Affari Esteri e Comunitari in sede referente.
Il Protocollo ONU, che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione e impone la creazione di un analogo organismo indipendente ispettivo anche a livello nazionale, si applica solamente agli Stati che vi hanno aderito. La sua ratifica potrebbe andare di pari passo con l’approvazione della legge istitutiva del Garante delle persone private della libertà, figura che risponderebbe alle richieste mosse dal Protocollo a livello nazionale. Un testo unificato per l’istituzione del Garante dei detenuti è in corso di esame in Commissione Affari Costituzionali.
Ancora in materia di tortura, la Convenzione ONU del 1984, firmata e ratificata dall’Italia, impone agli Stati parte di formalizzare la tortura, in una definizione perlomeno ampia quanto quella presente nella Convenzione stessa, come oggetto di una specifica previsione di reato, irriducibile alla somma di altre fattispecie generiche, quali abuso, lesioni o altro. Su questa strada, sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo. Dopo l’approvazione prima dell’estate del decreto legislativo che proibisce alle industrie belliche italiane la produzione di potenziali strumenti di tortura è adesso finalmente all’ordine del giorno della Commissione Giustizia della Camera – prossima riunione il 13 settembre - un testo unificato per l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale, testo nel quale confluiscono quattro disegni di legge. Il testo è stato già votato e si attendono i pareri delle Commissioni Affari Costituzionali, Affari Esteri e Bilancio. Esso, tra l’altro, prevede la pena della reclusione da 4 a 12 anni per chiunque infligga a una persona dolore e sofferenze, fisiche o mentali, allo scopo di ottenere da essa, o da una terza persona, informazioni o confessioni.
E’ altresì previsto un aumento di pena se le condotte sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio o se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; infine, la pena è raddoppiata se ne deriva la morte. A seguito di un emendamento presentato sia da Francesco Forgione (Prc) che da Tana De Zulueta (Verdi) viene istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un fondo per le vittime dei reati di tortura.
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