Dentro ogni carcere si respira oggi un’aria meno pesante. “Dentro ogni carcere” è il titolo del quarto Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione (ed. Carocci). Iniziammo quasi 10 anni fa a girare vorticosamente per le carceri italiane per informare correttamente l’opinione pubblica su quello che accade dentro le mura.
In questi anni abbiamo visto alternarsi tre governi, siamo stati dichiarati anarco-insurrezionalisti vigente il dicastero Castelli, abbiamo contato tre capi dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e quasi 61 mila detenuti. Da circa 10 anni si parlava di un provvedimento di clemenza. Girando per le galere lo abbiamo sentito evocare, sperare.
Editorialisti illustri, uomini di chiesa, politici di destra e di sinistra, ex presidenti della Repubblica, sindacalisti, e finanche magistrati lo hanno richiesto a gran voce. Noi dicevamo che le carceri scoppiavano di poveri, matti, immigrati, tossicodipendenti. Loro dicevano che sarebbe stato opportuno un gesto di umanità. C’è chi a Natale ha marciato nel nome dell’amnistia. E poi, inaspettatamente in piena estate, l’indulto è arrivato. Sono 24.256 i detenuti fino a oggi usciti dal carcere e il loro numero è ancora in crescita. E allora gli editorialisti hanno iniziato a dire che la sicurezza era a rischio, molti politici hanno messo la testa sotto la sabbia, gli uomini di chiesa hanno parlato solo di cellule staminali e di coppie di fatto, i sindacalisti sono tornati sensibili alla voce (dura) delle masse popolari, i magistrati hanno detto che l’indulto faceva schifo.
Ora la magistratura consorziata chiede l’amnistia per evitare di celebrare processi inutili. Noi siamo d’accordo. Lo eravamo anche prima. Il clima culturale è però deteriorato, forse irrimediabilmente. Speriamo non pregiudichi la possibilità di fare le necessarie riforme penali e penitenziarie. Eppure l’amnistia sarebbe un provvedimento necessario per riportare la giustizia alla sua funzione ordinaria. Molti, quasi tutti, si sono dimenticati chi affollava le carceri, quanto fosse di classe il sistema della giustizia penale.
Questo quarto Rapporto è l’ultimo delle carceri pre-indulto e il primo di quelle post-indulto. E’ una sorta di guida Michelin delle carceri italiane, manca solo il numero di manganelli al posto delle classiche forchette. Carcere per carcere, il quadro che emerge è quello di un sistema degradato nei suoi aspetti materiali e nella sua organizzazione interna, gli uni e l’altra abbandonati da una gestione centrale e integrata sempre più inconsistente. Se muoviamo un passo indietro sì può avere una linea d’orizzonte ancora più ampia, ci accorgiamo facilmente di come alla base del degrado quotidiano vissuto dal mondo penitenziario stia un degrado caratterizzabile come sostanzialmente culturale, che ha manifestazione e origine nella ricezione delle varie espressioni del carcere. Sempre di più, quello carcerario è un ambito sul quale non si ritiene vantaggioso o interessante investire le risorse, oltre che dell’amministrazione e della politica, della stessa formazione teorica, in un circolo vizioso secondo il quale, tanto a causa quanto a effetto di ciò, ogni cosa ruoti attorno al carcere è sentita dall’immaginario comune come dotata di un basso profilo culturale. Accade così, per fare un esempio, che il lavoro di operatore penitenziario sia spesso vissuto come un’opzione dequalificante e di ripiego nella vita delle persone che pure finiscono per praticarla.
La condizione carceraria è molto diversa da regione a regione, da città a città, in una sorta di geografia a macchia di leopardo, dove la ruota della sfortuna ti può portare alla casa circondariale di Padova, mentre ti sarebbe andata molto meglio se fossi stato recluso a trecento metri a sinistra, ossia al Due Palazzi. Dove può capitare, sempre se sei sfortunato o se sei ritenuto di fastidio, che ti sbattano nelle carceri sarde, definite dagli stessi operatori “di sfollamento”, in quanto vengono usate per ridurre la popolazione degli istituti del Nord e della Campania (la Bbc dedicò un servizio all’altissimo numero di suicidi che avvenivano nell’isola); ma ti potrebbe capitare, se sei fortunato, di andare a Gorgona, al Gozzini di Firenze o a Pisa, dove sei trattato ben meglio. Ora siamo in una fase delicata del governo dell’Unione. Il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nominato dal leghista Castelli è andato via. Si attende la nomina del successore. Noi vorremmo che nella sua patente ci fosse scritto: credo nella Costituzione.
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