Un poderoso lavoro redazionale come la realizzazione del Rapporto sui diritti globali ha alcune sue specifiche qualità. Innanzitutto tenta di dare un quadro di sintesi della realtà dei diritti umani nel mondo (e non è poco!), rappresentandone efficacemente la indivisibilità e la interdipendenza, e poi assume fino in fondo quella globale come dimensione del loro inveramento così come della loro negazione, cercando di fuggire da ogni etnocentrismo da primi della classe, del genere in voga nell'Occidente umanitariamente interventista.I lettori diranno se e in che misura gli autori ci sono riusciti. A me, che ne sono stato minimamente corresponsabile, interessa mettere in evidenza un'altra qualità di un lavoro di questo genere, come di ogni buon rapporto che si rispetti: la sua natura anfibia, la sua capacità di muoversi nei territori mobili del futuro, tenendo ben saldi i piedi nella concretezza del presente. Da un rapporto di analisi politico-sociale ci si attende una attendibile, completa ed efficace rappresentazione della realtà e, nel contempo, una realistica e fondata prefigurazione di ciò che potrà accadere. Attendibile rappresentazione della realtà e fondata prefigurazione del futuro, se ben maneggiate, potranno poi dare i loro frutti nell'iniziativa politico-sociale, e magari sovvertire quel futuro indesiderabile che si staglia di fronte a noi. Da questo punto di vista, il Rapporto sui diritti globali appena stampato ha già dato dimostrazione delle sue qualità anfibie, rappresentando una realtà della (negazione) dei diritti umani e civili e prefigurando una (ulteriore) caduta dei loro standard effettivi che oggi è davanti a noi, impietosamente squadernata. Il Rapporto è stato pensato e scritto prima che lo scandalo di Abu Ghraib si manifestasse agli occhi di una sonnolenta opinione pubblica occidentale. Eppure, al di là degli inevitabili ritocchi redazionali in corso di stampa, Abu Ghraib c'era già nelle pagine di quel Rapporto. Lo spettro incombente della tortura e della violazione dei diritti umani emerge, dalla lettura del Rapporto, come uno degli esiti possibili, anzi, come uno degli esiti probabili, della torsione delle politiche della sicurezza e della difesa dopo l'11 settembre. Negli Stati uniti, della legittimità della tortura si è cominciato a discutere il giorno dopo l'attacco alle torri gemelle. Da allora non c'è stato solo Guantanamo, ma la programmatica sottrazione degli Usa alle sedi di controllo internazionali. Non solo non hanno firmato il Trattato per l'istituzione della Corte penale internazionale, ma ne boicottano l'azione attraverso una rete di accordi bilaterali con i Paesi firmatari del Trattato che consentano la salvaguardia dei militari americani in missione all'estero. E che dire poi del rifiuto di aderire al Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Onu contro la tortura, che istituirebbe un organismo ispettivo indipendente sui luoghi di detenzione? Tutto questo è puntualmente ricostruito nel Rapporto. E perché gli Usa lo avrebbero fatto? Per sfigurare agli occhi del mondo o perché Abu Ghraib era iscritto nel corso delle cose, di una rivendicata subordinazione del diritto alla sua eccezione?
Chi avesse letto il Rapporto sui diritti globali prima di Abu Ghraib non ne sarebbe rimasto sorpreso. A chi leggerà il Rapporto sui diritti globali non mancheranno temi e questioni per l'iniziativa politica. Se un altro mondo è possibile.
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