"Il carcere secondo la Costituzione" E' questo il titolo del XV Rapporto sulle condizioni di detenzione che l'associazione Antigone ha presentato questa mattina a Roma. "Abbiamo deciso di titolare così il rapporto - ha spiegato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella durante la conferenza stampa - poiché alla Costituzione ci richiamiamo nel nostro lavoro di osservazione che dal 1998 portiamo avanti e attraverso il quale rileviamo gli elementi critici, le potenzialità e i rischi del nostro sistema penitenziario. Un lavoro che mettiamo a disposizione di tutti affinché si possano mettere in campo tutte le azioni necessarie a colmare la distanza tra la pena reale e la pena secondo la Costituzione".
Quello che emerge dal Rapporto di Antigone è come il sovraffollamento del sistema penitenziario italiano sia ancora in crescita. Al 30 aprile 2019 erano 60.439 i detenuti, di cui 2.659 donne (il 4,4% del totale). Le presenze in carcere sono cresciute di 800 unità rispetto al 31 dicembre 2018 e di quasi 3.000 rispetto all’inizio dello scorso anno. Ma soprattutto ci sono oggi ben 8.000 detenuti in più rispetto a tre anni e mezzo fa. Con questo trend nel giro di due anni si tornerà ai numeri della condanna europea. Il tasso di affollamento sfiora attualmente il 120% e, dalle rilevazione effettuata dall’Osservatorio di Antigone durante il 2018 (85 carceri visitate), è risultato che nel 18,8% dei casi vi sono celle dove non è rispettato il parametro dei 3mq per detenuto, soglia considerata dalla Corte di Strasburgo minima e al di sotto della quale estremo è il rischio di trattamento inumano o degradante. Il tasso di affollamento può essere considerato tuttavia più elevato se si tiene conto che in ben 37 istituti, tra quelli visitati dall'associazione, ci sono spazi non in uso per ristrutturazione o inagibilità. Non sempre i dati ufficiali sui posti disponibili tengono conto di ciò. Il caso più celebre è quello di Camerino, vuoto dal terremoto dell’ottobre del 2016, la cui capienza è ancora conteggiata nei posti disponibili del sistema penitenziario nazionale.
Il prossimo 16 maggio si terrà la conferenza di presentazione del XV Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, "Il carcere secondo la Costituzione".
L'iniziativa è prevista a Roma presso la Sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato (piazza Capranica 72) a partire dalle ore 10.00.
Il rapporto di Antigone costituisce una fotografia indipendente del sistema penitenziario italiano, condotta attraverso l'attività di osservazione che l'Associazione svolge dal 1998 in tutti gli istituti penitenziari del paese. Il documento contiene dati, numeri, analisi e storie sul sistema carcerario e le sue condizioni.
Quest'anno abbiamo deciso di titolare il rapporto "Il carcere secondo la Costituzione" poiché a questa ci richiamiamo nel nostro lavoro di osservazione, nella rilevazione degli elementi critici, delle potenzialità e dei rischi del nostro sistema. Crediamo che il nostro lavoro di osservazione sia necessario e quindi, per questo lo mettiamo a disposizione affinché si possa mettere in moto un percorso che colmi la distanza tra la pena reale e la pena secondo la costituzione.
Oltre agli esponenti di Antigone parteciperanno: Mauro Palma (Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale), Gemma Tuccillo (Capo del Dipartimento della Giustizia minorile e Comunità). Si è inoltre in attesa delle conferme di Francesco Basentini (Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) e dell'On. Alfonso Bonafede (Ministro della Giustizia).
Per partecipare alla presentazione del rapporto è necessario accreditarsi inviando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Essendo i posti limitati riceverete una e-mail di risposta nella quale verrà comunicato se la richiesta di partecipazione è stata accolta o meno.
"Del tutto condivisibili i rilievi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella intorno alla nuova legge sulla legittima difesa. Una legge palesemente ispirata a principi di campagna elettorale. Una legge inutile, anzi dannosa. Una legge che ha come obiettivo indiretto quello di favorire una liberalizzazione ulteriore del mercato delle armi. Siamo certi che la magistratura interpreterà al meglio il messaggio del Capo dello Stato, ponendo limiti e confini all'applicazione di una legge che sarà la Corte costituzionale ad indicare se legittima o meno. Forti restano infatti i dubbi intorno alla legittimità di un provvedimento non ispirato a quel principio di proporzionalità che invece deve caratterizzate l'intero sistema penale".
Queste le dichiarazioni del presidente di Antigone Patrizio Gonnella.
“La sentenza depositato oggi della Corte Costituzionale, la n. 99, è importantissima per il diritto alla salute dei detenuti. Finalmente la malattia psichica viene considerata alla stessa stregua della malattia fisica, nel caso in questione ai fini della concessione della detenzione domiciliare”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, nel commentare la pronuncia della Corte in merito al dubbio di costituzionalità sollevato dalla Cassazione.
“Con questa sentenza – dichiara ancora Gonnella - la Corte rimedia alle timidezze e alle paure del legislatore che aveva avuto l’occasione in sede di riforma dell’ordinamento penitenziario di introdurre questo principio sacrosanto, ma non lo aveva fatto ignorando la scienza ma anche la pratica medica. Una sorta di rimozione del problema del disagio psichico che finalmente viene superata. Ci auguriamo che da questa pronuncia si riproponga al centro dell’agenda politica l’equiparazione totale tra malattia fisica e psichica e dunque anche l’incompatibilità di quest’ultima con lo stato di detenzione arrivando, quando questa si presenta, a prevedere la sospensione o il differimento delle pena”.
La legalità costituzionale, che comprende in sé il diritto all’inviolabilità della propria integrità psico-fisica e dunque il diritto a non essere maltrattati e torturati, non si ferma sulla soglia di una caserma dei carabinieri.
A quasi due lustri dalla morte di Stefano Cucchi, dopo anni di indagini, dopo processi finiti nel nulla, dopo maldicenze e ingiurie nei confronti della famiglia di Stefano, dopo deviazioni e tentativi di infangare ingiustamente alcuni agenti di Polizia penitenziaria, giunge, inaspettata alla luce dei precedenti storici, e per questo ancora più importante, la decisione del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri di chiedere al Ministero della difesa di costituirsi parte civile nel prossimo procedimento penale per depistaggio, che vede il coinvolgimento di alcuni militari, i quali, come abbiamo sentito e visto nelle scorse settimane, avrebbero fatto di tutto per occultare una verità invece composta da pestaggi, violenza, torture, indifferenza e morte.
È questa una decisione, successivamente confermata dal presidente del Consiglio, che restituisce dignità allo Stato e allo stesso tempo ripaga le vittime delle tante offese e calunnie subite.
Le istituzioni italiane molto debbono a Ilaria Cucchi e ai suoi genitori. Senza la loro caparbietà, senza il loro infinito dolore, senza la fatica di un’instancabile Ilaria, capace di fare da muro contro calunniatori e miserabili anonimi aggressori, e senza la strategia, di certo non difensiva per usare una metafora calcistica, dell’avvocato Anselmo e degli altri legali, Stefano Cucchi sarebbe stato uno dei senza nome e dei senza storia che sono morti nelle mani dello Stato. Lui invece ha un nome, ha un volto, ha un’anima, ha una storia grazie a Ilaria e a chi, con lei, ha lottato stoicamente per la giustizia e la verità.
Nei casi di tortura e maltrattamenti il raggiungimento della verità storica attraverso il processo non può che essere un affare di Stato. Non è qualcosa che riguarda solo una madre, un padre o una sorella. La violenza istituzionale è sempre una questione che riguarda l’intera comunità. Non è ridimensionabile a un delitto tra privati ma è un crimine di rilevanza pubblica. È lo Stato che deve preoccuparsi di proteggere i propri cittadini dai suoi custodi infedeli. È lo Stato che deve difendere la memoria delle vittime di tortura dai loro carnefici. È lo Stato democratico che viene ferito quando la legalità si ferma sul portone di una caserma, di un commissariato, di un carcere, di un centro per migranti.