E' notizia degli ultimi giorni il bando del Ministero della Giustizia francese grazie al quale verranno installati telefoni fissi in quasi tutte le celle (oltre 50.000) delle carceri d'oltralpe. E' una buona notizia. Da un lato si garantisce il diritto alla comunicazione di persone isolate dagli altri, dall'altro c'è una ragione securitaria, e cioè il contrasto del traffico illecito di telefonini, pratica ben più diffusa in Francia che in Italia. Si potranno chiamare solo 4 numeri, e le chiamate saranno tutte registrate: ma è già qualcosa.
E da noi? Come comunicano i detenuti? Male, e soprattutto poco. Il regolamento penitenziario autorizza una telefonata a settimana, di soli 10 minuti e in orari che coincidono con il lavoro dei coniugi e la scuola dei figli. I numeri devono essere preliminarmente identificati: si deve cioè verificare che dietro al numero ci sia quella persona e non un'altra. Sicché vengono facilmente autorizzati i numeri fissi ma non i cellulari, considerati meno affidabili. Senonché molte famiglie, soprattutto all'estero, non hanno il fisso (e gli stranieri in carcere sono circa il 35%). Perché un portatile venga autorizzato non si devono effettuare colloqui visivi o telefonici per 2 settimane.
La Corte di Cassazione ha chiuso la vicenda dell'aggressione avvenuta nel carcere di Asti nel 2010. Dichiarando inammissibile il ricorso, sono state confermate le condanne inflitte a due poliziotti penitenziari (un sovrintendente e un agente) che pestarono il giovane C.G., "colpevole" di essersi convertito all'Islam.
Un'aggressione islamofoba, avvenuta nei locali dell'infermeria, che aveva causato lesioni guaribili in 30 giorni.
In primo grado il giudice aveva inflitto condanne superiori ai 2 anni, poi ridotte in appello a 1 anno e 5 mila euro di risarcimento del danno.
Un prepotente ritorno del carcere e del sovraffollamento e la riforma dell'ordinamento penitenziario che, seppur ancora non conclusa, crea aspettative positive per il futuro. Si può fotografare così l'anno che sta per concludersi.
Il 2017 è stato un anno che ha visto una crescita nel ricorso al carcere dopo alcuni anni in cui si era assistito ad una contrazione dei numeri e del suo utilizzo. In 12 mesi i detenuti presenti sono circa 3.000 in più rispetto a quelli che si registravano alla fine del 2016. Il tasso di affollamento ha raggiunto il 115%, mentre solo un anno fa era di poco superiore al 108%.
Carcere. Con il varo dei decreti delegati si è concluso un percorso iniziato nel 2013. Ma c’è ancora molto da fare
Di Patrizio Gonnella, il manifesto del 24/12/2017
In extremis, il governo ha approvato le nuove norme penitenziarie. La riforma è quasi arrivata al traguardo a quarantadue anni dall’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario che a sua volta sostituiva il regolamento fascista del 1931 (fondato sugli assiomi del lavoro obbligatorio, del silenzio e della preghiera) e a quattro anni abbondanti dalla condanna umiliante della Corte europea dei diritti umani per le condizioni degradate di vita e i diritti negati nelle nostre carceri. Le Commissioni Giustizia delle due Camere hanno a disposizione, anche nel caso di scioglimento delle stesse, quarantacinque giorni per esprimere un parere sulla conformità dei decreti alla legge delega.
La giustizia minorile italiana è un sistema che funziona e del quale dobbiamo essere fieri in Europa. Riesce realmente a residualizzare il carcere e relegarlo a numeri minimi. Tuttavia, in questi numeri ci sono sempre le stesse persone: gli stranieri, i ragazzi più marginali del sud Italia, tutti coloro per i quali la fragilità sociale e l’assenza di legami sul territorio rende difficile trovare percorsi alternativi alla detenzione.
E' questo ciò che emerge da Guardiamo Oltre, il 4° Rapporto di Antigone sugli Istituti di Pena per Minorenni (IPM) presentato oggi a Roma durante una conferenza stampa.