Prosegue il nostro viaggio tra i programmi di alcuni dei partiti presenti alle prossime elezioni del 4 marzo. Dopo quelle di M5S, Centro-destra, PD e Più Europa, oggi ci occupiamo di quello di Liberi e Uguali, una lista nata di recente che riunisce Sinistra Italiana, un gruppo di fuoriusciti dal PD (Articolo1-MDP) e varie altre personalità della società civile. Lo spazio dedicato alla giustizia penale è abbastanza ridotto, pertanto metteremo in prospettiva le proposte con le posizioni adottate nel corso dell'ultima legislatura.
Carcere
Il programma di LeU indica in primis la necessità di effettuare con urgenza un “intervento sul sistema carcerario e una riforma dell’ordinamento penitenziario”, con l'obiettivo di garantire “il rispetto della dignità della persona, anche quando detenuta”. Il richiamo è generico, ma è utile sapere che molti esponenti di questa lista hanno appoggiato o sostenuto il progetto di riforma Orlando, iniziato nel 2015 con la convocazione degli Stati Generali sull'Esecuzione Penale, criticando il suo abbandono.
Gli Stati Generali sono stati un insieme di tavoli tematici riunitisi per sette mesi da cui sono venute fuori proposte di promozione delle misure alternative, dei diritti religiosi in carcere, del diritto alla comunicazione, di quello alla sessualità (presente un po' dappertutto meno che da noi, almeno in Europa) e più in generale di misure volte a rendere il carcere un luogo più aperto verso la società. Dopo vari passaggi istituzionali, alcune di quelle proposte sono diventate decreti legislativi, che alla fine il Consiglio dei Ministri non ha approvato, né sembra voler approvare. In LeU c'è chi ha parlato a tal proposito di “scelta miope ed elettoralistica”.
Provvedimenti deflattivi dell'ultima legislatura
Gli esponenti della lista hanno sostenuto diversi provvedimenti volti a far diminuire la popolazione detenuta. Come abbiamo sottolineato in una delle guide precedenti (quella del PD), nel 2013 l'Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per le condizioni delle sue carceri e per il loro tasso di affollamento (con la famosa sentenza Torreggiani). Sotto l'impulso di quella condanna furono adottate diverse misure che migliorarono – sia pur parzialmente - le condizioni di vita detentive. Tra queste ci furono l'introduzione dei rimedi compensatori, grazie ai quali i detenuti che si reputino vittime di un trattamento disumano possono chiedere un risarcimento monetario (ciò vuol dire che lo Stato, se non vuole subire danni erariali, deve garantire condizioni di detenzioni degne); i rimedi giurisdizionali, grazie ai quali un detenuto può lamentarsi delle condizioni di detenzione di fronte al Magistrato di Sorveglianza (che si occupa del percorso detentivo), il quale può ingiungere all'Amministrazione Penitenziaria di mettere fine a quella situazione (prima era tutto meno formalizzato); l'introduzione della messa alla prova, un istituto che consente di sospendere il processo per le persone imputate per reati minori (per cui la pena massima è di 4 anni), in cambio di un percorso di reinserimento o riparazione (ad esempio con lavori di pubblica utilità, o con attività volte alla riparazione del danno), che poi il giudice valuta, con l'estinzione del reato in caso di esito positivo. E' una misura che presenta il vantaggio di evitare lunghi processi per fatti di lieve entità.
Tortura
LeU propone la modifica dell'attuale legge contro la tortura. A causa dell'assenza del reato di tortura dal codice penale per anni non è stato possibile punire gli agenti di polizia responsabili degli atti commessi durante il G8 di Genova, gli agenti di polizia penitenziaria che torturarono due detenuti nel carcere di ad Asti, e molti altri ancora. I capi d'imputazione nei confronti di queste persone erano le lesioni o altri reati meno gravi spesso andati in prescrizione. Nel corso dell'ultima legislatura è stato finalmente introdotto il reato, definito però in maniera diversa rispetto a quanto previsto dalla Convenzione internazionale contro la tortura. LeU vorrebbe che la definizione fosse invece aderente a quella della Convezione. Secondo molti critici, il Parlamento ha ceduto nel definire il reato alle pressioni dei settori più conservatori delle forze dell'ordine. La nuova legge prevede che affinché ci sia tortura le condotte del torturatore debbano essere reiterate (una sola condotta non basta) e che il trauma psichico subìto dalla vittima sia verificabile. Il reato è stato peraltro introdotto come reato comune, di cui tutti possono essere imputati, mentre la Convezione prevedeva l'introduzione di un reato specificamente rivolto alle forze dell'ordine, destinato a punire e prevenire le violazioni del diritto da parte dei custodi della libertà altrui.
41-Bis
Il programma propone infine il mantenimento del “regime del carcere duro per i mafiosi che mantengano un rapporto con i propri territori d’influenza”. LeU vuole che il cosiddetto 41-bis non venga “mitigato” - proposta a dire il vero quasi assente dal dibattito pubblico. Il regime di “41-bis”, comunemente detto “carcere duro”, è stato introdotto nel 1992, nel contesto emergenziale di lotta alla mafia. Fu prevista la possibilità di sospendere in via eccezionale le normali attività “trattamentali” di cui i detenuti fanno l'oggetto al fine di reinserirli nella società. Si trattava all'epoca di una norma temporanea ed emergenziale, che doveva durare tre anni ma che poi fu prorogata fino al 2002, quando venne stabilmente inscritta nell'ordinamento. Si è insomma normalizzata l'eccezione. Il motivo della sua eccezionalità era il particolare inasprimento delle condizione detentive, che derogavano al rispetto di molti diritti. In concreto, chi è in regime di 41-bis può beneficiare di un solo colloquio al mese con i familiari, da effettuarsi attraverso un vetro divisorio, con telecamere e microfoni; può effettuare una telefonata (solo se non effettua i colloqui); può passare solo 2 ore all'aria aperta, con un massimo di 4 persone; i beni e gli oggetti che può ricevere dall'esterno sono fortemente limitati; non può scambiare o cuocere cibi né comunicare con detenuti che appartengono a diversi gruppi di socialità. Nella pratica a queste si aggiungono molte altre restrizioni.
Il regime di detenzione non distingue tra presunti innocenti e condannati e la durata del provvedimento è stata innalzata da uno a quattro anni, prorogabili per periodi di due anni. Le persone al 41 bis sono spesso (seppur non sempre) mafiosi macchiatisi di reati efferati. E' però su queste persone che si misura la capacità di uno Stato di garantire i diritti. Il 41-bis colpisce l'individuo con un'azione desocializzante e una serie di divieti che sembrano avere molto poco a che fare con la necessità di recidere i legami del detenuto col territorio (vedi il divieto di cucinare o quello di leggere alcuni giornali), ragion per cui ad esempio il Consiglio d'Europa si è espresso contro.
Uno Stato forte e garantista dovrebbe essere capace di interrompere le comunicazioni senza per questo andare a intaccare i diritti fondamentali.