Questo che riportiamo è un articolo a firma di Patrizio Gonnella, pubblicato su il manifesto di oggi 10 luglio 2014.
Va a tutti ricordato che il sistema penitenziario italiano è ancora sotto osservazione europea. Nel giugno del 2015 il Consiglio d'Europa dovrà valutare la tenuta delle riforme, verificare se le condizioni di vita nelle carceri sono umane o disumane, accettabili o degradate. Dovrà esprimersi sullo stato dei diritti umani nelle prigioni del nostro Paese. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una decrescita della popolazione detenuta.
Nonostante questo il tasso di affollamento è ancora alto. La qualità della vita negli istituti penitenziari è migliorata ma integrità psico-fisica, salute, lavoro, istruzione, affettività sono ancora diritti quotidianamente a rischio. Un processo di riforme nel segno delle garanzie, affinché abbia una qualche chance di riuscita, richiede volontà politica ferma e capacità di resistere alle pressioni dei media, degli umori delle piazza nonché delle micro-corporazioni interne al sistema carcerario. Le riforme le fanno le persone. È questa una fase cruciale. Bisognerà consolidare un percorso, dimostrare che si crede nei diritti; basta poco perché si torni nella melma.
In questo momento, per l'appunto decisivo per il sistema delle pene in Italia, l'amministrazione penitenziaria (Dap) non ha un capo. A fine maggio 2014, in concomitanza con la scadenza imposta dalla Corte europea con la sentenza Torreggiani, non è stato confermato ai vertici del Dap il giudice Giovanni Tamburino. Da allora non c'è stata la nomina del nuovo capo. Ogni tanto radio carcere rumoreggia su qualche nome. Tutti rigorosamente magistrati, spesso pm.
Si sentono anche impropri ragionamenti intorno a chi spetterebbe la nomina tra le correnti della magistratura. Noi vorremmo invece un altro metodo, dove il capo sia scelto in base al mandato politico e culturale deciso. Se il mandato è quello di garantire il rispetto delle regole europee in materia di umanità del trattamento penitenziario, di modificare prassi sclerotizzate, di modernizzare il sistema, la via non può essere quella di affidarsi a un investigatore o a un giudice con esperienza procedimentale.
Ci vorrà qualcuno che per storia e competenza risponda a quel mandato. Che sia un esperto penitenziario, un direttore di carcere, un umanista, un manager o un giudice poco importa. L'importante è che sappia e voglia perseguire gli obiettivi riformatori nel nome della dignità umana. Gli stessi che devono essere alla base della nomina del garante nazionale delle persone detenute. La legge c'è da sei mesi, il Garante non è mai stato nominato. A ottobre saremo sotto il giudizio del Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu. Non è bello a 11 anni dalla firma del protocollo alla Convenzione sulla tortura che lo prevedeva essere ancora sul banco dei negligenti.