di Corallina Lopez Curzi da Cild.eu
Nell’ambito del Consiglio d’Europa (CoE) – organizzazione internazionale composta da 47 stati membri impegnata promuovere i diritti umani in Europa (ma estranea all’Unione Europea) – è in corso un tentativo di regolamentazione della detenzione amministrativa dei migranti.
Si tratta di una pratica pericolosa che negli ultimi anni è stata di fatto istituzionalizzata in tutta Europa, diventando così un anello chiave nella gestione dei flussi migratori, nonostante secondo il diritto internazionale dovrebbe essere usata solo come ultima risorsa. Nel nostro continente si detengono infatti ogni anno circa 600.000 stranieri , tra cui numerosi minori (circa 40.000), sulla base di una semplice decisione amministrativa, senza che questi abbiano commesso nessun reato e senza che la loro privazione della libertà trovi consono fondamento e disciplina nella legge.
Perché si deve regolamentare la detenzione amministrativa
L’istituto della detenzione amministrativa pone evidentemente numerose e gravi criticità, motivo per cui da tempo le organizzazioni che si occupano di diritti umani ne chiedono l’abolizione o comunque la restrizione della sua applicazione.
Poiché però questa pratica di fatto continua e continuerà ad aver luogo, appare importante darle una consona cornice giuridica. Perciò, pur partendo dalla considerazione che si dovrebbe e ben si potrebbe governare il difficile tema dell’immigrazione attraverso politiche non repressive ma tendenzialmente sociali e che la gestione dei flussi migratori non può essere affidata alla mera costrizione fisica o restrizione della libertà di movimento, apprezziamo il tentativo dello European Committee on Legal Cooperation di elaborare le European rules on the administrative detention of migrants (Regole europee sulla detenzione amministrativa dei migranti).
Pragmaticamente riteniamo insomma necessario che i centri di detenzione amministrativa siano adeguatamente regolamentati, poiché la loro proliferazione fuori da ogni cornice giuridica ha prodotto negli Stati prassi inaccettabili e, così come documentato dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT), gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle persone migranti.
Le nostre note critiche alle proposte del Consiglio d’Europa
Ciononostante, le proposte messe sul tavolo dal CoE presentano alcune criticità, tanto nell’impostazione generale quanto in alcune previsioni di dettaglio. Per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno partecipare alla consultazione della società civile indetta dall’organizzazione, presentando alcune note critiche sul testo ora in fase di valutazione. Abbiamo innanzitutto firmato una dichiarazione congiunta dell’International Detention Coalition – di cui siamo membri – che sottolinea la necessità di adottare un approccio radicalmente differente: non si può infatti affrontare la questione della privazione di libertà dei migranti nella stessa ottica con cui si guarda alla vita in prigione. La prospettiva adottata non può essere di giustizia criminale – poiché qui non si sta parlando di criminali – bensì di rispetto dei diritti umani. È poi indispensabile prestare maggiore attenzione all’esigenza (prioritaria) di sviluppare e adottare strumenti alternativi alla detenzione in modo che la privazione della libertà sia davvero uno strumento adottato solo in extrema ratio.
Abbiamo poi anche prodotto – in collaborazione con A Buon Diritto, Antigone, Avvocati per Niente, Naga e Progetto Diritti – delle note critiche alle proposte del CoE sulla regolamentazione della detenzione amministrativa che pone l’attenzione su alcuni nodi specifici da sciogliere. Oltre a reiterare l’osservazione generale sull’importanza di allontanarsi da un approccio detentivo e investire nelle alternative alla detenzione, sottolineiamo: la necessità che il management di tutti i luoghi in cui di fatto avviene una privazione di libertà sia rigorosamente pubblico; l’esigenza di fissare un termine massimo perentorio per il trattenimento e vietarlo in toto per quanto concerne minori ed altri soggetti vulnerabili; l’importanza di costruire un regime interno che sia quanto più lontano possibile da quello detentivo e vicino invece alla normalità della vita libera – ad esempio, vietando l’isolamento e “liberalizzando” le comunicazioni dei migranti con l’esterno; il bisogno di riconoscere l’importanza del monitoraggio svolto da organizzazioni indipendenti e media e, in tale ottica, consentirne il libero ingresso in tutti i luoghi in cui avvenga una privazione della libertà.
I prossimi passi
Oggi si conclude il processo di consultazione del CoE con la società civile ed inizia la fase di rivalutazione della bozza di normativa, con l’obiettivo di arrivare ad una sua approvazione entro il 2018. La nostra speranza è che le osservazioni presentate dalle tante realtà attive nella difesa dei diritti umani consentano la revisione del documento in un’ottica diversa.