di Patrizio Gonnella (presidente Antigone) e Riccardo De Vito (presidente Magistratura Democratica) da il manifesto del 28 ottobre 2018
Il Sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone ha annunciato – in un post su Facebook ripreso dalle agenzie di stampa – di concordare con il Ministro Alfonso Bonafede sull’apertura al taser per la Polizia Penitenziaria, sostenendo la necessità di dotare, in via sperimentale, gli Istituti di pena di questo strumento di deterrenza. Aspettiamo di conoscere la posizione ufficiale del Ministro, ma auspichiamo davvero che si prendano le distanze da questa idea pericolosa e controproducente. Il sistema penitenziario non si può governare con le armi. L’introduzione della pistola elettrica nelle carceri – in spregio al disposto dell’ultimo comma dell’art. 41 dell’ordinamento penitenziario, in base al quale gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore – riporterebbe il carcere ad essere quel luogo violento, conflittuale e non conforme a Costituzione che il nostro Paese ha conosciuto fino a prima della riforma penitenziaria del 1975. Un carcere ben diretto, con un clima sereno al proprio interno, con un trattamento aperto, occasioni di intrattenimento, di formazione, di istruzione, di informazione riduce i tassi di conflittualità ben di più che qualche scarica di elettroshock.
Dunque, dopo averne previsto nel decreto sicurezza Salvini la possibilità di uso per la Polizia municipale nelle città con più di 100 mila abitanti, ora si apre il fronte delle carceri. Dobbiamo ricordare che la pistola taser al limite dovrebbe rappresentare un’alternativa meno offensiva all’arma da fuoco, non di certo uno strumento per introdurre armi in contesti nei quali normalmente non se ne farebbe uso. Tutti gli operatori penitenziari sanno quanto sia pericolosa un’arma in carcere: per la comunità dei detenuti e degli operatori e per lo stesso personale di Polizia Penitenziaria. La storia delle violenze e dei sequestri negli istituti di pena negli anni Settanta dovrebbe indurre a guardare con allarme a ogni tentativo di sostituire la strada della mediazione, della parola, del dialogo con quella della violenza. Si deve rilevare, poi, che tutti gli studi e i rapporti delle associazioni di tutela dei diritti umani, a partire da Amnesty International, sottolineano le potenzialità letali della pistola elettrica. In America e in Canada, dal 2001 ad oggi, le morti collegate all’utilizzo dei taser sono oltre un migliaio. E il 90% delle vittime era disarmata. Le scariche elettriche che dovrebbero arrestare il movimento della persona, in caso di stress, patologie, uso di sostanze da parte della persona attinta, interferiscono con l’attività cardiaca e possono cagionare la morte.
Non abbiamo bisogno di questo. Nelle carceri italiane c’è invece estremamente bisogno di educatori, direttori, medici, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, mediatori e anche agenti. Abbiamo bisogno di risorse, idee, progettualità, non di ulteriori cause di pericolo. Abbiamo bisogno di scuole e università che aprano corsi nelle prigioni. Abbiamo bisogno di assicurare gratificazione sociale, economica e pubblica a chi lavora negli istituti e non di sparare scariche elettriche a destra e manca.
Dire di sì all’uso delle pistole taser in carcere significa cedere alla tentazione di trasformare la pena in una forma di luogo insicuro per la vita e l’incolumità delle persone detenute. Dunque il Ministro Bonafede speriamo smentisca il suo Sottosegretario della Lega.