Vi è una crescita in termini assoluti, ma soprattutto in termini percentuali: mentre nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1.200, nel 2018 il rapporto è diventato pari a uno su 900. I dati dicono inoltre che dietro le sbarre ci si ammazza circa venti volte di più che nella vita libera
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 23 dicembre 2018
Nelle ultime ore ci sono stati due suicidi in carcere, uno a Messina e l’altro a Trento. Tra i detenuti che negli ultimi mesi si sono ammazzati ci sono anche un giovane senegalese e uno tunisino. Il primo si è suicidato qualche giorno fa nel carcere di Pisa, il secondo a settembre in quello di Civitavecchia. Il giovane senegalese era dentro da circa un mese in custodia cautelare per violazione della legge sugli stupefacenti; pare avesse una qualche forma di disagio comportamentale. Il ragazzo tunisino aveva venticinque anni. Si è ammazzato nell’istituto di Civitavecchia proveniente da quello romano di Regina Coeli. Da lui abbiamo ricevuto una lettera dopo avere saputo della sua morte; ne abbiamo informato le autorità inquirenti.
DALL’INIZIO DELL’ANNO si sono suicidate nelle carceri italiane 65 persone. Queste sono le rilevazioni di Ristretti Orizzonti. I calcoli ufficiali del Ministero pare siano leggermente diversi, ma la sostanza della tragedia non cambia. Comunque è un numero in crescita rispetto al 2017, quando i suicidi erano stati in tutto 53; ma anche rispetto al 2016, quando vi erano stati 45 suicidi, e al 2015, quando furono ancora meno, ossia 43. Vi è una crescita in termini assoluti ma soprattutto, e ciò preoccupa, in termini percentuali: mentre nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1.200 detenuti presenti, nel 2018 il rapporto è diventato pari a un detenuto suicida ogni 900 presenti. I dati inoltre ci dicono che in carcere ci si ammazza circa venti volte di più che nella vita libera.
OGNI SUICIDIO ha una risposta diversa. Le sintesi esplicative non funzionano per spiegare gesti di disperazione così gravi. La scelta di una persona di togliersi la vita non deve mai, da nessuno, essere strumentalizzata. Sarebbe dunque forse semplificatorio dire che vi sia un nesso causale diretto con il sovraffollamento crescente. È inequivocabile, però, che più cresce il numero dei detenuti più alto è il rischio che nessun operatore si accorga della disperazione di una persona.
Se infatti cresce il numero dei detenuti, non crescono i numeri di coloro che compongono lo staff penitenziario.
Dietro una scelta suicidaria può esservi solitudine, disagio psichico, trattamento sommario con psico-farmaci, assenza di speranza, disperazione per il processo o per la condanna, abusi. Non è possibile ricondurre a una la motivazione. Utile a individuarne le cause è la decisione del Garante nazionale delle persone private della libertà di attivarsi davanti alle Procure per ogni caso di suicidio in carcere, anche per dare dignità a quelle biografie altrimenti sepolte senza memoria.
LA PEGGIORE delle soluzioni giudiziarie in un suicidio consiste nella ricerca del capro espiatorio. I suicidi non si prevengono attraverso pratiche penitenziarie umilianti (ad esempio lasciare nudo in una cella disadorna una persona ritenuta a rischio di suicidio per evitare che usi lenzuola o vestiti per ammazzarsi) o sottoponendo il detenuto a una sorveglianza asfissiante. Prendersela con l’agente di Polizia che ha abbandonato la marcatura a uomo è ingiusto e non ha alcuna valenza preventiva speciale o generale. Va rivista la colpa del custode.
Per prevenire i suicidi in carcere bisogna togliere la volontà di ammazzarsi e non limitarsi a privare i detenuti degli oggetti con cui suicidarsi. La prevenzione dei suicidi ha a che fare con la qualità della vita interna, con la condizione di solitudine, con l’isolamento e con i legami affettivi all’esterno. Abbiamo messo a disposizione di senatori e deputati una proposta che contiene norme dirette a ridurre l’isolamento affettivo, sociale e sensoriale dei detenuti. Il carcere deve riprodurre la vita normale. Nella vita normale si incontrano persone, si hanno rapporti affettivi ed intimi, si telefona, si parla, non si sta mai soli per troppo tempo.
Una telefonata, al momento giusto, allunga la vita. L’isolamento penitenziario fa male alla salute psichica del detenuto. Durante l’isolamento i suicidi sono più frequenti. Va abolita la norma presente nel codice penale che prevede l’isolamento diurno per i pluri-ergastolani.
Nei tempi duri non bisogna limitarsi a resistere passivamente, ma si deve continuare a spingere in avanti l’asse dei diritti. Continueremo a fare questa campagna insieme al manifesto, nostro grande compagno di viaggio.