di Patrizio Gonnella da il manifesto del 17 gennaio 2019
Era la vigilia di Natale del 1992, e non era ancora stato arrestato Totò Riina, quando fu introdotta nell’ordinamento penitenziario la seguente norma: «Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi».
«L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari». Qualche mese prima era stato ammazzato Paolo Borsellino. Il parlamento però sentì la necessità di spiegare agli agenti di Polizia Penitenziaria, il cui Corpo era stato smilitarizzato da un paio di anni, e ai direttori di carcere che il corpo e il volto del reo non potevano in nessuna circostanza essere oggetto di curiosità pubblica. Molti di noi avevano ancora bene in mente le immagini di Enzo Tortora, condotto in carcere in manette da due Carabinieri. Immagini che lesero la sua e la nostra dignità.
La discrezione e la sobrietà nelle operazioni di polizia e di giustizia sono a garanzia di tutti: della persona arrestata o condannata, colpevole o innocente che sia; degli operatori di Polizia e della loro sicurezza messa a rischio dalla divulgazione dei loro volti; della stessa idea pubblica di giustizia, ontologicamente incompatibile con ogni forma di spettacolarizzazione.
La pena, il carcere, la privazione della libertà, i detenuti, gli arrestati non possono mai tradursi in un video show a disposizione dei fruitori seriali di social. Fra i più assidui frequentatori di video in rete vi sono, ad esempio, i ragazzi. Il video postato dal ministro della Giustizia Bonafede su facebook è anti-pedagogico in quanto viene diffuso non tenendo conto dei divieti di legge. È altresì anti-pedagogico perché contribuisce a trasformare il detenuto in una bestia da zoo e ad alimentare propositi di vendetta. Il diritto penale nella sua complessità, così come ci ha insegnato Luigi Ferrajoli, serve a ridurre la violenza dei delitti e delle pene e non a soffiare sul vento della legge del taglione.
Le immagini trasmesse in rete sono state precedute dalle parole truci del ministro degli Interni che auspicava «Battisti marcisse in galera», non considerando quale debba essere la funzione costituzionale della pena che mai può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Se uno Stato abdica a rispettare le proprie norme, e addirittura maltratta quelle costituzionali, vuol dire che non è uno Stato che crede nel proprio diritto, così fornendo un cattivo esempio pubblico di legalità. Per questo la reazione indignata e di richiamo alla nostra civiltà giuridica da parte del Garante dei detenuti e dei componenti di Area del Csm è di grande rilievo istituzionale.