Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale per i 30 anni di Antigone, all'interno del manifesto del 17 febbraio 2021.
La nostra giustizia penale è classista: nelle carceri ci sono tossicodipendenti immigrati e condannati per reati di strada. Il diritto penale - almeno luogo dell’uguaglianza davanti alla legge - è diventato il luogo della massima disuguaglianza
di Luigi Ferrajoli
Fu Rossana Rossanda a decidere il nome. Perché Antigone?
Perché quel nome alludeva al punto di vista esterno – il punto di vista della giustizia, della morale e della politica – con cui intendevamo guardare alle durezze e alle iniquità del diritto penale, alle involuzioni inquisitorie dei processi e alle condizioni di illegalità delle nostre carceri. Allora, alla nascita della prima serie della rivista – nel 1985, sei anni prima della nascita dell’Associazione, nel 1991 – la nostra critica si rivolgeva alla legislazione e alla giurisdizione d’eccezione, che in quegli anni avevano ridotto il già debole sistema delle garanzie del corretto processo.
Il nostro richiamo ad Antigone si identificava perciò con l’opzione per il garantismo penale contro le degenerazioni indotte dall’emergenza del terrorismo e manifestatesi nelle leggi eccezionali e in taluni grandi processi di stampo inquisitorio, a cominciare da quello del 7 aprile contro l’Autonomia operaia.
Si trattava di una battaglia in difesa delle garanzie penali e processuali proprie dello stato di diritto. Ed è sintomatico dell’arretratezza del nostro sistema politico il fatto che quella battaglia, puramente liberale, fosse condotta da quella che allora era la sinistra cosiddetta estrema.
Ma l’Antigone che Rossana volle come nome della nostra rivista e alla quale dedicò, proprio in quegli anni, uno splendido saggio, simboleggiava molto di più.
Esprimeva, in primo luogo, le virtù politiche che Rossana ammirava e che lei stessa impersonava: la radicale autonomia del punto di vista esterno al diritto e alle istituzioni; l’intransigenza morale e politica; la difesa delle persone contro il potere e, soprattutto, degli oppressi contro i loro oppressori.
Incarnava, in secondo luogo, la legge della ragione e, insieme, la legge del più debole, che se nel momento del delitto è la parte offesa, nel momento del processo è l’imputato e nel momento della pena è il condannato.
Si capisce come in questo senso il garantismo fosse allora e sia tuttora ben lontano dal garantismo scoperto in Italia dalla destra all’indomani delle prime incriminazioni di Silvio Berlusconi. L’appello al garantismo quale sistema di limiti imposti alla sola giurisdizione penale si è infatti coniugato, presso la nostra destra, con l’insofferenza per ogni limite e controllo giuridico, fino alla pretesa dell’impunità, nei confronti sia del potere politico che di quello economico. Di qui il carattere classista della nostra giustizia penale, attestato dalla composizione della popolazione carceraria. In carcere ci sono solo tossicodipendenti, immigrati e condannati per reati di strada. È questa disuguaglianza che “Antigone” ha sempre denunciato nei suoi 30 anni di vita. Nel paese più corrotto d’Europa, i corrotti detenuti sono un’infima minoranza. Il diritto penale – luogo, nel suo modello normativo, quanto meno dell’uguaglianza davanti alla legge – è diventato, di fatto, il luogo della massima disuguaglianza. Non solo riproduce le disuguaglianze presenti nella società, ma ha ormai codificato discriminazioni e oppressioni modellate sugli stereotipi classisti e razzisti del «delinquente sociale», oltre che «naturale», con leggi e prassi tanto severe con la delinquenza di sussistenza quanto indulgenti con quella del potere.
È perciò una riflessione sul garantismo e sulla democrazia che oggi viene sollecitata da questo trentesimo anniversario di “Antigone”. Il garantismo invocato dalle destre suppone una concezione assolutistica sia della democrazia che del liberalismo.
Suppone, precisamente, due forme convergenti di assolutismo, contrarie entrambe al sistema di vincoli e contrappesi nel quale il garantismo consiste: l’assolutismo delle maggioranze, legittimate dal voto popolare che varrebbe a consentirne ogni abuso inclusi i reati commessi dai suoi esponenti, e l’assolutismo del mercato, concepito a sua volta come il luogo delle libertà che sarebbe illiberale limitare con regole e controlli; in breve, l’assolutismo dei poteri politici come di quelli economici, sempre più spesso, oltre tutto, tra loro confusi o collusi.
Al contrario il garantismo penale che sempre ha animato le battaglie della nostra “Antigone” è solo un aspetto del garantismo quale modello generale del diritto e della democrazia. Tutti i diritti fondamentali, infatti, equivalgono ad altrettante leggi del più debole contro la legge del più forte che vige in loro assenza. Con garantismo s’intende quindi, in questa più larga accezione, un sistema politico che estende il paradigma classico dello stato di diritto in due direzioni: da un lato a tutti i poteri, non solo a quello giudiziario ma anche a quello legislativo e a quello di governo, e non solo ai poteri pubblici ma anche a quelli privati; dall’altro a tutti i diritti, non solo a quelli di libertà, ma anche a quelli sociali e del lavoro, con conseguenti obblighi oltre che divieti a carico sia della sfera pubblica dello Stato che della sfera privata del mercato.