Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Il nostro documento sul decreto legge Caivano

Il nostro documento sul decreto legge Caivano

Acireale4-768x429È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 15 settembre 2023 il testo del cosiddetto decreto Caivano, il quale testimonia fin dal nome della assai discutibile ma diffusa pratica di intervenire normativamente, quasi sempre ricorrendo alla decretazione d'urgenza, all'indomani di fatti di cronaca drammatici, con l'illusione di inseguire questa o quella emergenza attraverso l'irrigidimento degli strumenti penali.

Ieri siamo stati auditi in Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia (qui il video completo delle audizioni), presentando un documento  che riporta la posizione di Antigone sui vari aspetti di questo decreto, a beneficio della discussione parlamentare nel processo di conversione in legge.

Questa che segue è l'introduzione. Il documento completo si può leggere qui.

In questo documento ci siamo limitati a commentare le parti del decreto che incidono appunto sul sistema penale, contenute sostanzialmente nel Capo II recante “Disposizioni in materia di sicurezza e di prevenzione della criminalità minorile”, le sole che abbiano attinenza con la mission della nostra associazione. Antigone, attraverso il proprio lavoro di osservazione e analisi sulla giustizia penale minorile che confluisce nella pubblicazione del sito all'indirizzo www.ragazzidentro.it, si è imposta negli ultimi anni quale interlocutore di istituzioni nazionali e sovranazionali sul tema.

Al di fuori del Capo II, vogliamo solo soffermarci brevemente sull’art. 12 del Capo III, l’unico altro articolo che agisce sul sistema penale introducendo il reato di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori. Si punisce con pene fino a due anni il responsabile dell'adempimento dell'obbligo scolastico del minore che, già ammonito dal sindaco, non adempia adeguatamente a tale sua responsabilità. La mancata documentazione della regolare frequenza scolastica dei componenti minorenni ha inoltre effetti sul diritto all’assegno di inclusione per il nucleo famigliare. Tali disposizioni sono del tutto prive di effi cacia preventiva. I contesti degradati, o ancor più quelli legati alla criminalità organizzata, nei quali si matura generalmente la dispersione scolastica non sono permeabili alla minaccia di sanzioni che spesso neanche comprendono, ma necessitano piuttosto di interventi sociali ed educativi sul territorio.

La giustizia penale minorile italiana costituisce da decenni un modello al quale l'intera Europa si rivolge quale pietra di paragone virtuosa. La direttiva dell’Unione Europea del 2016 (n. 800) sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali, alla quale non a caso l’Italia ha fornito un contributo decisivo, guarda in maniera essenziale al modello italiano. Il processo penale minorile disciplinato dallo specifico codice di procedura penale del 1988 (D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) ha dato prova di successo nel residualizzare la risposta carceraria e abbracciare un modello educativo capace di ricondurre i giovani all'interno della società secondo la finalità propria che la nostra Costituzione assegna alle pene.

Il codice di procedura penale minorile arriva alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso a seguito di profonde elaborazioni culturali presenti nella società italiana e di specifiche sentenze della Corte Costituzionale – che già dalla prima metà degli anni Sessanta aveva dimostrato di aver colto le trasformazioni sociali profonde dando avvio a un’opera di revisione del sistema penale e penitenziario minorile – che hanno svolto il ruolo di autorevole guida verso l’adozione del nuovo codice. Si afferma in esso l’idea che la finalità principale del diritto minorile sia quella di educare il minore autore di reati piuttosto che di punirlo. La giustizia penale minorile in Italia non si basa infatti sulla sola valutazione del fatto di reato, ma innanzitutto sulla valutazione della personalità del minore. Il procedimento penale minorile deve tendere a restituire alla società un minore educato, a mezzo degli interventi mirati sulla sua personalità e sulla sua condizione socio-psicologica.

Il sistema ha dimostrato in questi anni di far fede a quel fondamentale principio dell'interesse superiore del fanciullo codificato dagli strumenti internazionali (tra cui l'art. 3 della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia del 1989), che entrano nell'ordinamento giuridico italiano quali sovraordinati alle norme interne. L'interesse del minore, in considerazione della sua personalità ancora in evoluzione, va considerato superiore rispetto a ogni interesse legato alla tranquillità pubblica, al decoro cittadino, perfino alla sicurezza urbana, cosa che le norme del presente decreto non sembrano considerare.

Oggi, a fronte di oltre 14.000 giovani in carico ai servizi della giustizia minorile, sono 426 – poco più del 3% – i detenuti nei diciassetti Istituti Penali per Minorenni (Ipm) d'Italia. Come emerge dai rapporti periodici pubblicati da Antigone sul sito sopra citato, il sistema di alternative alla risposta carceraria destinato ai minori e ai giovani adulti, per quanto sicuramente migliorabile, ha dimostrato negli anni la propria tenuta. Oltre 2.800 ragazzi e ragazze sono attualmente sottoposti alla misura della messa alla prova, che prevede la sospensione della stessa azione penale e che presenta una percentuale elevatissima di successi. Nei 17 Ipm italiani non si soffre il sovraffollamento e i numeri contenuti permettono agli operatori di mantenere un’attenzione individualizzata ai giovani detenuti, sostenendoli nel proprio singolo percorso. Anche grazie a tutto ciò il tema dei suicidi, che grandemente affligge il carcere per adulti, è da sempre quasi inesistente negli Ipm.

L'espansione dell'azione punitiva proposta nel decreto Caivano a scapito dell'approccio educativo verso i giovani si pone in contrasto con le basi culturali che hanno informato un modello che ha dato prova di funzionare. È una risposta del tutto irrazionale: invece di puntare con ancora maggiore decisione nella direzione dimostratasi virtuosa, si inverte la rotta spingendo su una pericolosa omologazione degli strumenti penali destinati ai minori con quelli destinati agli adulti. E questo sulla base di allarmi generati da fatti di cronaca che incidono fortemente sulla pubblica emotività, ma in assenza di alcuna emergenza oggettiva legata alla criminalità minorile. Uno sguardo ai dati sui minori denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia ci mostra infatti come negli ultimi dieci anni si sia assistito a un andamento oscillatorio che vede gli ultimi dati relativi al 2022 del tutto in linea con gli anni precedenti. Se infatti le denunce erano 32.200 nel 2012, salivano in seguito fino alle 35.750 del 2015 per poi scendere a 34.400 l’anno successivo e poi ancora fino ai 29.600 del 2019. Senza considerare il 2020, che a causa del lockdown ha visto un significativo calo generale della criminalità, i numeri del 2021 e del 2022 (rispettivamente 30.400 e 33.700 denunce) sono sostanzialmente in linea con le oscillazioni dell’ultimo decennio.

La strada da intraprendere è allora esattamente quella contraria rispetto alle nuove norme: invece di avvicinare la gestione del minore a quella dell’adulto in ambito procedurale, bisognerebbe riflettere ancora più a fondo sulla considerazione dei bisogni propri dei giovani, codificandoli anche in ambito sostanziale con un codice penale specifico per i minorenni. Se non è questo il contesto per poter ragionare su una simile riforma, auspichiamo tuttavia che in sede di conversione parlamentare si contrastino quegli interventi normativi che fanno compiere pericolosi passi indietro al sistema della giustizia minorile italiana.

Si potrebbe inoltre cogliere l’occasione per rivedere un aspetto della procedura minorile che in questi anni si è dimostrato problematico sotto più punti di vista: quello del sistema dei cosiddetti ‘aggravamenti’, ovvero ingressi in carcere per un periodo di tempo non superiore a un mese in caso di comportamenti inadeguati tenuti dal ragazzo in comunità. Sono molti ogni anno gli ingressi in Ipm dovuti a tale misura. Sarebbe del tutto opportuno cercare soluzioni diverse per reagire alla violazione delle regole della comunità, soluzioni che non richiedano il passaggio in carcere, sempre traumatico per il giovane, e che al tempo stesso non gravino gli Ipm di questa utenza indiretta, che in effetti è essenzialmente utenza delle comunità stesse.

all’assegno di inclusione per il nucleo famigliare. Tali disposizioni sono del tutto prive di
effi cacia preventiva. I contesti degradati, o ancor più quelli legati alla criminalità
organizzata, nei quali si matura generalmente la dispersione scolastica non sono
permeabili alla minaccia di sanzioni che spesso neanche comprendono, ma necessitano
piuttosto di interventi sociali ed educativi sul territorio.
La giustizia penale minorile italiana costituisce da decenni un modello al quale l'intera
Europa si rivolge quale pietra di paragone virtuosa. La direttiva dell’Unione Europea del
2016 (n. 800) sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti
penali, alla quale non a caso l’Italia ha fornito un contributo decisivo, guarda in maniera
essenziale al modello italiano. Il processo penale minorile disciplinato dallo specifico
codice di procedura penale del 1988 (D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) ha dato prova di
successo nel residualizzare la risposta carceraria e abbracciare un modello educativo
capace di ricondurre i giovani all'interno della società secondo la finalità propria che la
nostra Costituzione assegna alle pene.
Il codice di procedura penale minorile arriva alla fine degli anni Ottanta del secolo
scorso a seguito di profonde elaborazioni culturali presenti nella società italiana e di
specifiche sentenze della Corte Costituzionale – che già dalla prima metà degli anni
Sessanta aveva dimostrato di aver colto le trasformazioni sociali profonde dando avvio a
un’opera di revisione del sistema penale e penitenziario minorile – che hanno svolto il
ruolo di autorevole guida verso l’adozione del nuovo codice. Si afferma in esso l’idea che
la finalità principale del diritto minorile sia quella di educare il minore autore di reati
piuttosto che di punirlo. La giustizia penale minorile in Italia non si basa infatti sulla sola
valutazione del fatto di reato, ma innanzitutto sulla valutazione della personalità del
minore. Il procedimento penale minorile deve tendere a restituire alla società un minore
educato, a mezzo degli interventi mirati sulla sua personalità e sulla sua condizione
socio-psicologica.
Il sistema ha dimostrato in questi anni di far fede a quel fondamentale principio
dell'interesse superiore del fanciullo codificato dagli strumenti internazionali (tra cui
l'art. 3 della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia del 1989), che entrano
nell'ordinamento giuridico italiano quali sovraordinati alle norme interne. L'interesse del
minore, in considerazione della sua personalità ancora in evoluzione, va considerato
superiore rispetto a ogni interesse legato alla tranquillità pubblica, al decoro cittadino,
perfino alla sicurezza urbana, cosa che le norme del presente decreto non sembrano
considerare.
Oggi, a fronte di oltre 14.000 giovani in carico ai servizi della giustizia minorile, sono 426
– poco più del 3% – i detenuti nei diciassetti Istituti Penali per Minorenni (Ipm) d'Italia.
Come emerge dai rapporti periodici pubblicati da Antigone sul sito sopra citato, il
sistema di alternative alla risposta carceraria destinato ai minori e ai giovani adulti, per
quanto sicuramente migliorabile, ha dimostrato negli anni la propria tenuta. Oltre 2.800
ragazzi e ragazze sono attualmente sottoposti alla misura della messa alla prova, che
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