«Il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York». Sono queste le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante il question time alla Camera. Il ministro, nell’annunciare l’ennesimo disegno di legge governativo sui temi della sicurezza, ha affermato che sarebbe un problema solo tecnico e che intende adeguare la normativa italiana a quella Onu, allo scopo di meglio specificare le condotte incriminate e limitare le responsabilità di chi commette atti violenti ai soli casi nei quali vi sarebbe una intenzionalità specifica.
NO, MINISTRO NORDIO, la questione non ha nulla di tecnico. Non è qualcosa che ha a che fare con le disquisizioni salottiere di legulei raffinati. La questione è solo ed esclusivamente politica, al limite culturale o umanitaria. Mettere mano oggi al delitto di tortura, la cui approvazione risale non alla notte dei tempi ma al 2017, significa dare un messaggio di impunità a tutti coloro che si nutrono di violenza. Significa dare ragione a chi pensa che le forze dell’ordine necessitino delle mani libere. Significa rispondere alle richieste dei sindacati autonomi di Polizia che hanno sempre criticato la legge in vigore contro la tortura. Significa non tenere conto che la parola tortura ha finalmente fatto ingresso nelle Corti, dalla porta principale. Significa purtroppo non rispettare le vittime di tortura che attendono giustizia da anni. Significa mettere a rischio processi come quello per i pestaggi e le mattanze di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia, dove le immagini hanno mostrato il volto brutale della violenza.
Se mai i propositi del ministro Nordio andassero in porto possiamo immaginare che le difese dei presunti torturatori chiederanno la sospensione dei procedimenti in corso, in primo grado così come in appello, mettendo a rischio decisioni, condanne. In questo modo quella che viene presentata come un tecnicismo, in sostanza è un’anticipazione di possibile impunità. Modificare l’articolo 613-bis che proibisce la tortura per adeguarla alle norme Onu è una truffa delle etichette, tanto più che la destra è stata sempre, sin dal 1998, la più radicale oppositrice alla introduzione del delitto di tortura nel Codice penale, nonostante allora una parte dei leghisti e lo stesso Berlusconi ne erano invece favorevoli.
IL CODICE PENALE e le leggi speciali sono pieni di norme scritte male, prive dei requisiti di tassatività e offensività e il Ministro, lo stesso che aveva presentato alle Camere il delitto di rave party, preannuncia la modifica proprio del solo delitto di tortura. Un caso? No. È una scelta politica che di tecnico ha ben poco. Una decisione che, va ricordato, mette mano a un crimine contro l’umanità, il crimine dei potenti. Sì, perché la tortura è il crimine dei forti contro i deboli. È l’espressione del potere brutale e cieco di punire, incompatibile con le garanzie dello Stato democratico. In un’Italia dove i diritti umani sembrano essere mal digeriti, in questi ultimi anni dobbiamo ringraziare tutti quei giudici che, usando il loro potere indipendente, hanno portato avanti processi difficili, in alcuni casi arrivando a sentenze esemplari per la loro nitidezza.
LE ANTICIPAZIONI DEL MINISTRO Nordio sono dunque estremamente preoccupanti per chi come Antigone e Amnesty International, insieme all’allora Garante Mauro Palma, hanno a denti stretti lottato perché nel 2017 quella legge passasse. Chiunque usi la parola garantismo a proposito della decisione politica di stravolgere, a partita in corso, le norme sulla tortura è in mala fede. Il garantismo non è mai la legge del più forte o quella dei potenti. Il garantismo è la legge del più debole. E il più debole è la persona che è nelle mani dello Stato.
CI APPELLIAMO DUNQUE a tutte le opposizioni, ai media, a chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto e i diritti umani affinché esprimano il proprio forte e radicale dissenso rispetto a chi vuole toccare il crimine di tortura. Un crimine che dovrebbe vedere lo Stato in prima linea nel contrastarlo e non essere invece preoccupato nel delimitarne i confini. Vorremmo che il governo si costituisse parte civile nel prossimo procedimento per tortura a Reggio Emilia se ci sarà il rinvio a giudizio. Questo è lo Stato che rappresenta tutti noi, poveri e ricchi, custodi e custoditi. Dunque, Ministro, la scelta non è tecnica. La scelta è tragicamente politica.