Ieri nel carcere minorile Beccaria di Milano molti dei ragazzi detenuti hanno inscenato una protesta - che è consistita prima nel mancato rientro in cella e poi nella battitura delle sbarre - rientrata dopo poche ore senza violenza e senza che nessuno, sia tra i ragazzi che tra gli agenti, sia risultato ferito. Si è parlato di rivolta, come troppo spesso si fa in casi analoghi, e crediamo che innanzitutto vada ripristinato il corretto uso dei termini, riconoscendo la differenza tra rivolte e proteste.
Quella del Beccaria di ieri rientra perfettamente in quest'ultima fattispecie e bisogna cercare di capire cosa sta accadendo in quell'istituto dove, un mese fa, la metà degli agenti in servizio sono stati indagati per torture e altri reati connessi ai casi di torture. Il quadro che esce fuori dalle carte della Procura parla di un clima di violenze e sopraffazione generalizzato. Il problema del Beccaria, oggi, è un problema di - comprensibile - mancanza di fiducia verso l'istituzione. Le proteste, quella di ieri non è il primo episodio critico avvenuto nell'ultimo mese, vanno dunque affrontate con il dialogo, lavorando per ripristinare proprio quella fiducia, fondamentale tra custodi e custoditi. Un dialogo che devono favorire anche le istituzioni non carcerarie, come il Comune di Milano, la Regione Lombardia, la magistratura, l'avvocatura e la società civile, in un accompagnamento civico fondamentale per questo pezzo di città.
Parlare di rivolta, invece, non aiuta ad andare verso questo dialogo. Ancor meno aiuterebbe se dovesse essere approvato il ddl sicurezza, che per le rivolte, anche non violente, prevede pene sproporzionate. Se fosse stato in vigore questo testo di legge i ragazzi del Beccaria avrebbero potuto subire una condanna fino a 8 anni, con l'esclusione dai benefici penitenziari previsto dal regime 4-bis che, nato per i reati di mafia e terrorismo, oggi si applica a diverse fattispecie penali e si applicherà anche al reato di rivolta penitenziaria. Allo stesso modo, a non agevolare il dialogo, potrebbe esserci il trasferimento, a seguito delle proteste di ieri, dei giovani adulti nelle carceri per adulti, possibilità che il decreto Caivano ha semplificato.
Una soluzione penale ad una questione sociale, quella delle proteste penitenziarie, che vanno ascoltate perché da sempre denunciano problemi, criticità, malessere, che ogni istituzione sana dovrebbe prendere in carico. Soprattutto quando questo malessere è manifestato da dei ragazzini".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone