Il volume raccoglie l’analisi storico-sociologica di alcuni cases studies volta a gettare una luce sulla costruzione dell’immaginario collettivo moderno relativo alla pena detentiva e, più in generale, ai fenomeni etichettati come devianti e/o criminali. Tale immaginario ha preso forma, nel corso del XIX secolo, in contemporanea con l’avvento di una società sempre più alfabetizzata ed in cui i “modi di comunicazione” hanno acquisito gli elementi di una produzione culturale di massa, condotta con criteri di tipo industriale. In particolare, il carcere disciplinare nell’accezione foucaultiana del termine è stato narrato, in molti testi giornalistico-letterari del periodo in Paesi come la Francia e l'Inghilterra, attraverso nuovi stereotipi comunicativi che hanno preso le distanze dall’immaginario premoderno della “segreta” medioevale. La pena, sparita dai luoghi pubblici, è andata a rifugiarsi in edifici chiusi ed accessibili al pubblico solo attraverso la voce di quei pochi (giornalisti, scrittori, filantropi, talvolta qualche recluso) che hanno narrato quel mondo dell’esclusione. L’analisi di tali narrazioni consente dunque di ricostruire la genealogia di ciò che ancora oggi pensiamo di conoscere del carcere e di chi lo abita. E, di conseguenza, di come ci rapportiamo ad esso.
10 dicembre 2004: nel carcere di Asti due detenuti aggrediscono un agente di custodia, il quale viene salvato dall’intervento di un collega di sezione. I due detenuti vengono immediatamente portati nelle celle di isolamento dove inizia per loro una lunga ed estenuante vicenda di torture, umiliazioni e maltrattamenti che porterà uno di loro a tentare il suicidio. Il racconto di questa vicenda è ricostruito, nella forma della pièce teatrale, attraverso i verbali del processo penale svoltosi tra il finire del 2011 e l’inizio del 2012 davanti al Tribunale di Asti, attraverso le testimonianze di coloro che quelle torture hanno perpetrato e hanno subìto, di chi vi ha assistito passivamente e di chi quelle torture ha denunciato. Il processo si è concluso giudiziariamente con un nulla di fatto: manca nel nostro ordinamento il reato di tortura e le altre imputazioni sono prescritte (motivazione e dispositivo della sentenza sono pubblicati al termine del testo teatrale). Restano i fatti, comprovati da una sentenza che è un vero e proprio trattato di sociologia della vita carceraria e che rappresenta una testimonianza terribile del degrado umano a cui può condurre la reclusione, nelle persone custodite e in quelle che dovrebbero custodire.