Bisogna aver visto, scriveva Pietro Calamandrei su un numero della rivista il Ponte, interamente dedicata al carcere. Quel numero accolse il racconto di numerosi intellettuali che avevano vissuto le carceri fasciste. Bisogna aver visto un carcere, diceva Calamandrei, per comprenderne la funzione sociale e misurarne il divario rispetto agli scopi attribuiti a questo luogo.
Per queste ragioni riteniamo di grande importanza la visita di oggi pomeriggio al carcere di Santa Maria Capua Vetere del Presidente del Consiglio Mario Draghi e della Ministra della Giustizia Marta Cartabia. Vedere in prima persona può essere un modo importante per rendersi conto di quanto le condizioni di detenzione oggi siano afflittive e in molti casi lontane dagli scopi costituzionali della pena. Ci auguriamo che dopo questa visita si riavvii quel processo di riforme che aveva interessato il nostro Paese all'indomani della condanna del 2013 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Lo scorso giugno il Sottocomitato per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite ha pubblicato due pareri di follow-up in materia di detenzione in periodo pandemico. Questi aggiornamenti rappresentano il prosieguo di avvertenze che fin dall’esordio della diffusione del coronavirus Covid-19 la Sottocommissione si era premurata di produrre e sottoporre ai Paesi aderenti all’Opcat (il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura) un parere sui luoghi di detenzione (marzo 2020) e poi ancora un altro parere nell’aprile successivo agli Stati e ai Meccanismi nazionali di prevenzione (NPM). Ad entrambi il Sottocomitato aveva chiesto di fornire informazioni sulle misure che di lì in avanti si sarebbero adottate negli istituti di pena in risposta al pericolo virale.
Sono stati 49 su 90 Stati parte del protocollo, quelli a fornire delle risposte che hanno poi permesso il follow-up. Tra i membri dell’Unione europea le adesioni sono state di 19 paesi su 27 (Non hanno risposto: Belgio, Finlandia, Georgia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca). Mentre sono stati 69 gli NPM che hanno segnalato al Sottocomitato i problemi riscontrati nei sistemi di reclusione di cui sono Garanti nel corso di questa emergenza pandemica.
5 agenti penitenziari sono stati rinviati a giudizio, a vario titolo, per i reati lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d'ufficio e omessa denuncia a danno di U.M. un uomo detenuto, all'epoca dei fatti, nel carcere di Monza.
"Il caso - ricorda Simona Filippi, avvocato che segue questi casi per conto dell'Associazione - fu portato a conoscenza di Antigone nell'agosto del 2019, quando venimmo contattati dal fratello dell'uomo che raccontò di una violenta aggressione fisica ad opera di diversi agenti di polizia penitenziaria. I fatti sarebbero avvenuti nel corridoio della sezione dove il detenuto sarebbe stato preso a calci e pugni. II 25 settembre presentammo un esposto alla Procura che avviò le indagini. Antigone si è costituita anche parte civile nel procedimento".
"Nei giorni in cui è esploso il caso delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, quello che arriva da Monza è un altro segnale importante di come non ci debba essere spazio per l'impunità davanti ad episodi di questo tipo - dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Ora attendiamo l'inizio del processo penale che, anche in questo caso, dovrà stabilire cosa accadde nell'istituto di Monza. Come sempre, ci auguriamo che anche in questo caso il governo si costituisca parte civile per dare un segnale forte a tutti gli operatori penitenziari, soprattutto a coloro che ogni giorno svolgono il proprio lavoro nel rispetto della Costituzione e quindi della dignità dei detenuti. Segnale - conclude Gonnella - arrivato dall'Amministrazione Penitenziaria che, nel caso specifico, ha collaborato affinché si accertassero i fatti".
S. Maria Capua Vetere. Non c’è attenuante che regga: lo stress, le proteste dei giorni precedenti, il virus. Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti
di Patrizio Gonnella su il manifesto dell'1 luglio 2021
Le immagini interne al carcere di Santa Maria Capua Vetere parlano chiaro. Tutti abbiamo potuto vedere le violenze gratuite e brutali commesse da agenti di Polizia Penitenziaria su qualunque detenuto gli passasse sotto mano, finanche se su sedia a rotelle. È’ stata una rappresaglia indiscriminata, illegale, disumana che non ammette alcuna giustificazione. Non c’è attenuante che regga: lo stress, le proteste dei giorni precedenti, il virus. Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti. È qualcosa che ci porta dentro l’antropologia della pena e della tortura.
L'inchiesta. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 29 giugno 2021
Torture, lesioni, depistaggio, falso. Non è questo un sommario dei fatti accaduti a Genova nel 2001 ma è il cuore dell’inchiesta sulle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 in pieno lockdown. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria.
Il primo elemento è la pianificazione della rappresaglia. Dalle conversazioni via whatsapp avvenute tra gli agenti, tratte dagli smartphone sequestrati all’indomani dei fatti, emerge chiara la voglia di vendicarsi per le proteste inscenate dai detenuti nei giorni precedenti. La vendetta si consuma sempre con un’azione spettacolare di forza e violenza. L’operazione a Santa Maria Capua Vetere, che viene giustificata con l’esigenza di fare una perquisizione straordinaria alla ricerca di armi improprie, è condotta da centinaia di agenti quando oramai in carcere non c’era più tensione.