Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nei giorni della Settimana Santa, un commando di oltre un centinaio di poliziotti, a viso coperto e in tenuta antisommossa, secondo le testimonianze, entrava nell’istituto dando vita ad un pestaggio disumano ai danni dei detenuti reclusi nel reparto Nilo. Queste denunce sono state poste all’attenzione della nostra Associazione da diversi familiari dei ristretti nelle immediate ore successive al 6 aprile 2020. Da subito abbiamo avuto la percezione che quello di cui ci veniva raccontato avrebbe costituito una grave sospensione delle garanzie del nostro stato di diritto, che aveva condotto all’esercizio incondizionato e brutale della violenza da parte delle forze dell’ordine.
Un dossier sull'applicazione della legge a quattro anni dall'introduzione del reato di tortura. E' quello che ha realizzato Antigone in occasione della Giornata Internazionale per le Vittime di Tortura.
Quattro anni fa fu introdotto nel codice penale italiano il reato di tortura (il 613-bis). Erano passati quasi 30 anni da quando l'Italia aveva ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite impegnandosi davanti agli organismi internazionali a perseguire e punire questo crimine contro l'umanità. Tuttavia i vari tentativi compiuti non avevano portato all'esito atteso. Nel frattempo nel paese la tortura esisteva e veniva - purtroppo - praticata, come ci hanno dimostrato alcune sentenze della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo che condannò il nostro paese per le torture nel carcere di Asti e per quelle nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova.
"Quel testo - ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - fu figlio di un compromesso che lo staccò da quella che erano le previsioni contenute nella Convenzione Onu. Tuttavia come associazione, lo difendemmo e chiedemmo l'approvazione. Sappiamo infatti che non sempre avere la migliore possibile delle leggi basta. Quello che conta, spesso, è la cultura giuridica di chi poi quelle leggi le applica. Inoltre eravamo certi che anche con l'attuale formulazione, mantenesse i criteri per una ampia applicazione. A distanza di quattro anni ne abbiamo avuto prova, con diversi procedimenti e processi avviati contro presunti torturatori e le prime condanne".
Durante la riunione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, avvenuta fra il 7 e il 9 giugno 2021, si è discusso di ergastolo ostativo a partire dal caso Viola per il quale l'Italia era stata già condannata. Il Comitato dei Ministri è incaricato di supervisionare l’esecuzione delle sentenze della Corte EDU. Dunque dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale, il Consiglio d'Europa torna sul tema. Il Comitato dei Ministri ha ribadito che sono necessarie misure legislative che diano ai tribunali la possibilità di rivedere la condanna all’ergastolo alla luce di una valutazione globale del percorso di risocializzazione anche in assenza di collaborazione con la giustizia.
La morte di Moussa Balde, il 23 maggio, nei così detti “ospedaletti” del CPR di Torino, ci interroga, come cittadini e come giuristi, su alcune fondamentali questioni in merito al trattamento oggi riservato ai migranti.
Moussa Balde è stato trattenuto al C.P.R., e prima ancora è stato condotto presso gli uffici di polizia di Ventimiglia, perché cittadino straniero irregolare, subito dopo aver subito una selvaggia aggressione da parte di tre italiani, a Ventimiglia, il 9 maggio. Per quanto noto in questa fase, la sua condizione di persona offesa è stata immediatamente dimenticata, a causa dell'irregolarità del suo soggiorno, e non gli era stata fornita alcuna delle informazioni conseguenti, quali, tra l'altro, la facoltà di presentare denunce o querele, il diritto di chiedere di essere informato sullo stato del procedimento, la possibilità di avvalersi dell'assistenza linguistica. Gli è stato di fatto negato il diritto di partecipare al procedimento penale. Moussa Balde aveva anzi riferito di non avere neppure compreso che l'aggressione avesse generato delle indagini, che i suoi aggressori fossero stati identificati, né tantomeno sapeva che c'era un video che aveva ripreso quella aggressione (all'ingresso nel CPR i trattenuti vengono privati dei telefoni cellulari, benché la legge garantisca la libertà di comunicazione anche telefonica con l'esterno, e non hanno accesso ad internet). Questa prima parte della vicenda conferma per l'ennesima volta che per lo Stato italiano la persecuzione degli stranieri privi di un permesso di soggiorno è considerata una priorità assoluta, da esercitare a qualunque costo, anche a scapito di diritti fondamentali (in alcuni casi, e il Mediterraneo ne è muto testimone, anche della vita dei migranti).
Si è tenuta oggi la seconda udienza preliminare relativa al procedimento per le presunte violenze commessa da agenti di polizia penitenziaria a danno di un detenuto presso la Casa circondariale di Monza. Durante la stessa il Giudice ha ammesso Antigone tra le parti civili.
"Il 6 agosto 2019 Antigone riceve una telefonata da parte di una che racconta di una violenta aggressione fisica subita dal fratello, detenuto presso il carcere di Monza, ad opera di diversi agenti di polizia penitenziaria. I fatti sarebbero avvenuti nel corridoio della sezione. Il detenuto sarebbe stato preso a calci e pugni". A ricordarlo è Simona Filippi, avvocato dell'Associazione che, il 25 settembre dello stesso anno, presenta un esposto alla Procura della Repubblica di Monza denunciando i fatti. "Anche a seguito di questo esposto - prosegue l'avvocato Filippi - vengono indagati 5 agenti di polizia penitenziaria che a vario titolo sono chiamati a rispondere dei reati di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d'ufficio e omessa denuncia a danno del detenuto".
"Quello di Monza è un episodio grave che però è emerso anche grazie alla collaborazione delle istituzioni penitenziarie" sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Così come fatto nel procedimento relativo ai fatti avvenuti nel carcere di San Gimignano, ci auguriamo che anche in questo caso il Ministero della Giustizia decida di costituirsi parte civile. E' un segnale importante che si dà, soprattutto alla maggior parte degli operatori che fanno il loro lavoro nel rispetto del senso costituzionale della pena".