Dal Recovery Fund dovrebbero arrivare all'Italia oltre 200 miliardi di euro. Una parte andranno alla Giustizia e al sistema penitenziario. Stando ad alcune anticipazioni della stampa si parlerebbe di circa 600 milioni di euro che vorrebbero essere utilizzati, in buona parte, per costruire nuove strutture detentive. A questa logica opponiamo le nostre ragioni e lo facciamo attraverso un documento che abbiamo inviato a governo e parlamentari.
Questa legata ai fondi europei è un'occasione da non sprecare, per questo non ci si può affidare alla solita, vecchia, ricetta basata su piani di edilizia penitenziaria. Non è costruendo carceri che si innova un sistema che invece ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane. Ogni detenuto costa circa 130 euro al giorno. In confronto, le misure alternative costano meno di un decimo e hanno un ben più significativo impatto nella lotta alla recidiva e negli obiettivi di recupero sociale dei condannati. E' su quelle che bisogna investire.
Bisogna investire nella ristrutturazione delle carceri esistenti. E’ questo il momento per cablare gli istituti, per potenziare le infrastrutture tecnologiche, per prevedere ipotesi aggiuntive di didattica a distanza, per assicurare la formazione professionale anche da remoto, per consentire ancor più incontri con il mondo del volontariato, per aumentare le possibilità di video-colloqui con familiari e persone care che si aggiungano ai colloqui visivi.
Bisogna investire di più nel capitale umano, assumendo più personale civile - direttori, educatori, mediatori, psicologi - ed equiparando il loro trattamento economico a quello di chi porta la divisa, fermo restando che anche per questi ultimi è importante prevedere una gratificazione economica.
Usiamo i fondi del Recovery per un nuovo sistema penitenziario e non per nuovi penitenziari.
26-11-2020 - Si è conclusa oggi, presso il Tribunale di Siena, l'udienza preliminare per le violenze verso un detenuto che sarebbero avvenute nel carcere di San Gimignano nell'ottobre 2018. 5 agenti penitenziari sono stati rinviati a giudizio. Tra le accuse di cui dovranno rispondere c'è anche quella di tortura. Durante la stessa udienza un medico del carcere, che aveva scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d'ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima.
"Nell'ottobre del 2019 Antigone - ricorda l'avvocato Simona Filippi, che segue questi casi per conto dell'associazione - aveva ricevuto notizia di una indagine in corso presso la Procura del Tribunale di Siena per violenze da parte di quindici agenti di polizia penitenziaria della Casa di reclusione di San Gimignano nei cui confronti, in data 28.08.2019, veniva emessa ordinanza di misura cautelare. A dicembre 2019 presentammo un esposto nel quale chiedevamo che si configurasse il reato di tortura a carico degli agenti".
Lo scorso 10 settembre Antigone aveva avanzato la richiesta di costituzione di parte civile, poi accolta dal giudice mentre, nella stessa udienza, il medico imputato chiese di essere giudicato con il rito abbreviato. Oggi si è arrivati al rinvio a giudizio per cinque poliziotti penitenziari e alla condanna del medico. "E' la prima volta - sottolinea ancora l'avvocato Filippi - che un medico viene condannato per essersi rifiutato di refertare un detenuto che denunciava di aver subito violenze. Speriamo che questo precedente aiuti a scardinare quel muro di complicità che a volte rischia di crearsi in casi simili".
"Il rinvio a giudizio per tortura è una notizia che speriamo dia ristoro alle vittime - dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. La tortura è un crimine che va indagato con decisione, così come è stato fatto. La tortura, purtroppo, esiste ma fortunatamente ora esiste anche una legge che la punisce. Infine, un invito al ministero della Giustizia e al Governo tutto: si costituisca parte civile. Così garantiremo maggiormente quella enorme fetta di operatori che si muovono nel solco della legalità".
Anche il carcere sta subendo le conseguenze della seconda ondata della pandemia di Covid-19, con numeri peraltro più ampi rispetto a quanto non sia avvenuto nei mesi di marzo e aprile. Il numero dei detenuti e degli operatori positivi sta raggiungendo le 1.000 unità per ciascuna di queste categorie, con ritmi di crescita che destano preoccupazione. In circa il 40% degli istituti del paese c'è stato almeno un caso di positività tra le persone recluse e, in alcuni casi, abbiamo assistito a veri e propri focolai. Nonostante questa situazione, il tasso di affollamento è ancora preoccupante. Ci sono circa 7.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Se si considera poi che alcune sezioni sono state liberate per essere destinate a diventare spazi per accogliere i contagiati, la situazione può essere considerata ancora più difficile rispetto a quanto non ci dicano questi numeri.
Per questo c'è bisogno di misure drastiche e urgenti. E sono quelle che hanno chiesto Antigone, Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele, in una lettera indirizzata al governo e ai parlamentari della commissione giustizia di Camera e Senato, a cui hanno aderito anche Amnesty International-Italia, Acat, Ristretti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, CSD - Diaconia Valdese, Uisp Bergamo, InOltre Alternativa Progressista.
Le misure proposte sono volte innanzitutto a ridurre in maniera incisiva la popolazione detenuta e a mettere in sicurezza le persone sanitariamente a rischio, ma anche a rendere non rischiosa e piena di senso la vita in carcere.
Detenzione. Come esistono i negazionisti del Covid, così esistono i negazionisti dell’afflittività e patogenicità del carcere. Con pragmatismo e senso di umanità bisognerebbe, in tempi strettissimi, evitare che le carceri arrivino a produrre lo stesso numero di morti e disastri già visti nelle Rsa.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 20 novembre 2020
Se c’è un luogo in conflitto ontologico con il Covid, esso è il carcere. A chiunque affermi che sia il posto più sicuro del mondo rispetto al rischio di contrarre il virus, suggerirei una passeggiata per le sezioni del carcere di Brescia, che ha il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare. O per i corridoi dell’istituto di Latina, che stipa 151 detenuti nei soli 77 posti previsti. O ancora a Taranto, che nei 304 posti letto regolamentari rinchiude 552 persone. O a Poggioreale, a Napoli, dove 2.177 detenuti devono dividersi i 1.571 posti disponibili, con celle che ospitano fino a 12 detenuti, talvolta prive di doccia, con letti a castello anche su tre livelli, e in qualche caso con wc vicino a dove si dorme.
LA NOSTRA MAPPA E' ALLA FINE DEL TESTO - Antigone sta provvedendo in queste ore a una mappatura di quanto avviene nei singoli istituti (lo stato dei contagi e le eventuale misure che le direzioni stanno adottando per contrastare i contagi).
Se sai qualcosa su quel che sta accadendo nel carcere della tua città o in quello dove conosci qualcuno scrivici all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Le tue informazioni saranno preziose.