Ramallah, 14 Marzo 2019 - Questa settimana, una delegazione italiana del Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale e della nostra associazione ha svolto una missione in Palestina per realizzare una tre giorni di formazione rivolta ai funzionari del Ministero della Giustizia e ai suoi partner, allo scopo di presentare e trasferire best practices italiane e metodologie utilizzate nel monitoraggio dei diritti umani nei centri di privazione di libertà.
Questa missione si inserisce nel quadro del progetto Karama: verso un sistema rispettoso dei diritti umani e della dignità delle persone, finanziato da AICS Gerusalemme (Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo), e ribadisce la cooperazione su questo terreno, avviata con la visita dei funzionari del Ministero della Giustizia Palestinese presso l’omologo Ministero italiano a novembre 2014, sul tema “Diritti umani e organizzazione penitenziaria”.
"E' il principio di proporzionalità che deve governare il sistema penale che altrimenti perde razionalità". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito della sentenza n. 40 della Corte costituzionale depositata in data odierna. Con questa sentenza la Corte dichiara illegittimo l'articolo 73, primo comma, del Testo unico sugli stupefacenti il quale prevedeva una pena minima edittale di 8 anni. Secondo la Corte proprio il minimo previsto per la fattispecie ordinaria (8 anni) e il massimo previsto per quella di lieve entità (4 anni), sarebbero in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 della Costituzione). Il minimo edittale diviene quindi ora di 6 anni, mentre resta invariato il massimo della pena, previsto in 20 anni.
"La sentenza della Corte - dichiara Gonnella - è in chiara controtendenza contro le derive populiste nelle quali siamo immersi. Il diritto non può affidarsi a categorie ad esso estranee. Non si possono prevedere pene a caso a seconda degli umori e dei bisogni di consenso. La Corte - sostiene ancora il presidente di Antigone - ci ricorda dunque come in ambito penale il faro debba sempre essere quello della proporzionalità del sistema penale e della funzione costituzionale rieducativa della pena e non l'uso populistico della giustizia che arrivi ad assumere le sembianze di una vendetta".
"Eliminare la lieve entità come proposto da Salvini - conclude Patrizio Gonnella - significherebbe potenzialmente portare in carcere per minimo 6 anni anche coloro che dovessero essere trovati in possesso di pochi grammi di sostanze. Una proposta che si allontana nettamente dalla pronuncia odierna della Corte e che per questo va fermamente respinta al mittente".
“Anche noi come Matteo Salvini vorremmo che non ci fossero più spacciatori per le strade, per questo proponiamo la legalizzazione della cannabis e la depenalizzazione delle altre sostanze. Vorremmo anche noi che i nostri ragazzi non fumassero droghe tagliate, che non finissero nelle mani di spacciatori professionisti che mischiano droghe chimiche, leggere e pesanti. Per fare questo bisogna legalizzare, depenalizzare, investire nella cultura sociale della riduzione del danno. Il Movimento 5 Stelle ha già votato nella sua piattaforma a favore della legalizzazione. Non ceda. Anzi, approfitti della proposta della Lega e apra una discussione in Parlamento e nel Governo per una strategia non proibizionista e punitiva. Contro le mafie, per il diritto alla salute, contro la criminalizzazione di milioni di consumatori".
A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito del disegno di legge presentato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che vorrebbe aumentare le pene per reati di droga e abolire la “lieve entità”.
Il testo unico sulla droga attualmente in vigore, D.P.R. 309/90, meglio conosciuto come legge Jervolino-Vassalli, prevede all'articolo 73 che chiunque coltiva, produce, cede, distribuisce, vende droghe pesanti è punito con una pena da 8 a 20 anni, per quelle leggere invece la pena va da 2 a 6 anni. Al comma 5 è previsto “il fatto di lieve entità”, che inizialmente prevedeva pene da 1 a 6 anni per le droghe pesanti e da 6 mesi a 2 anni per quelle leggere. Ma dopo l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, che aveva modificato il testo unico tra il 2006 e il 2014, è rimasta un pena unica da 6 mesi a 4 anni a prescindere dalle sostanze di cui si viene trovati in possesso.
“L’Italia ha tentato di percorrere la strada dell’inasprimento delle pene - sottolinea Gonnella. Lo ha fatto piuttosto di recente proprio con la legge Fini-Giovanardi che, modificando l’articolo 73 del D.P.R. 309/90, aveva equiparato tutti i tipi di droghe, prevedendo pene da 6 a 20 anni di carcere. Il risultato è stato sotto gli occhi di tutti: non erano diminuiti i consumatori, non erano diminuiti i morti, erano aumentati i detenuti presenti nelle carceri per reati legati alle droghe che, nel 2009, nel pieno di quell'ondata repressiva, erano il 40% del totale della popolazione detenuta”. Oggi i detenuti presenti in carcere per reati legati alle droghe sono circa il 34% del totale, segno che in carcere ci si va comunque ancora e molto. Inoltre il 25% di coloro che si trovano negli istituti di pena italiani sono tossicodipendenti e avrebbero dunque bisogno di cure specifiche che il carcere non può garantire. La maggior parte dei detenuti inoltre è ristretta per reati legati alla marijuana, una sostanza che recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto di rimuovere dall’elenco delle sostanze pericolose dell’Onu per via delle sue importanti funzioni terapeutiche.
Questo pomeriggio il Comune di Torino ha approvato un ordine del giorno promosso da Antigone contro la dotazione del taser al corpo di Polizia Locale. Una possibilità introdotta dal recente Decreto Salvini su sicurezza e immigrazione per le città con oltre 100.000 abitanti.
Torino diventa così la seconda città, dopo Palermo, ad approvare un ordine del giorno in tal senso.
“Nelle settimane successive all’approvazione del DL Salvini – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - abbiamo inviato a tutti i sindaci e i consiglieri delle città con oltre 100.000 abitanti una proposta di ordine del giorno affinché non si dotassero gli agenti della polizia locale di quest’arma potenzialmente letale, come ci dimostrano le esperienze dei paesi dove è già in uso, dove oltretutto viene spesso usato come alternativa ad altri strumenti, quali il manganello, e non alle armi da fuoco”.
A Torino questa proposta è stata raccolta dai consiglieri del Partito Democratico Enzo Lavolta e di Torino in Comune–La Sinistra Eleonora Artesio, e condivisa dal Movimento 5 Stelle e dalla Sindaca Chiara Appendino.
Alla fine i voti a favore sono stati 26.
Il 24 febbraio 2017, nel carcere romano di Regina Coeli, si tolse la vita impiccandosi Valerio Guerrieri, giovane ragazzo di 21 anni. A due anni da quel fatto sono in piedi due diversi filoni processuali. Da una parte quello che vede coinvolti alcuni agenti di polizia penitenziaria e personale medico del carcere, accusati di omicidio colposo; dall'altro quello relativo al trattenimento senza titolo del giovane all'interno dell'istituto penitenziario.
"Pochi giorni dopo la morte del ragazzo la madre si rivolse alla nostra associazione, inviandoci anche una lettera che il figlio le scrisse poco prima di suicidarsi. In quella lettera, che ci invitò a rendere pubblica, cosa che facemmo, era evidente il precario stato psicologico di Valerio" ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "La madre ci raccontò la vicenda del figlio, chiedendo un nostro impegno affinché se ne potessero chiarire tutti gli aspetti e avere giustizia. Una richiesta che abbiamo fatto nostra".
Come spesso accade in questi casi, furono proprio le denunce presentate dalla madre di Valerio Guerrieri per quanto riguarda l'ipotesi di omicidio colposo, e di Antigone sulla questione del trattenimento senza titolo, che diedero avvio alle indagini.
"Mentre per il primo filone di inchiesta, quello sull'omicidio colposo, si è già arrivato al rinvio a giudizio degli indagati, sulla questione del trattenimento senza titolo nei mesi scorsi fu chiesta l'archiviazione del caso. Richiesta a cui ci siamo opposti" come spiega Simona Filippi, avvocato della madre del ragazzo e di Antigone. "Il giudice - prosegue l'avvocato Filippi - ha accolto la nostra opposizione ordinando al PM di iscrivere i presunti responsabili nel registro degli indagati".