La circolare emanata dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nei giorni scorsi disegna un modello di gestione del conflitto interno alle carceri interamente schiacciato sulla repressione, spingendo verso una gestione di tipo disciplinare della vita penitenziaria e una reazione esclusivamente repressiva degli episodi, anche violenti, che possono verificarsi in carcere. È un modello che amplifica il conflitto stesso invece di lavorare alla sua decostruzione. Un clima penitenziario sereno è quel che rende migliore la vita di chiunque abiti il carcere, detenuti e personale. Esso non si costruisce con l'uso massivo dell'isolamento disciplinare, con trasferimenti e con le punizioni esemplari bensì proponendo una vita penitenziaria piena di senso, con attività lavorative e culturali e con operatori capaci di instaurare relazioni di prossimità fondate sulla conoscenza delle persone detenute e delle dinamiche di sezione, come indicato dagli organismi internazionali con il concetto di sorveglianza dinamica.
Il documento che qui presentiamo, e che abbiamo inviato nei giorni scorsi ai vertici dell'Amministrazione Penitenziaria, si muove in questa direzione.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 24 luglio 2020
La tortura esiste, e fortunatamente da qualche anno vi è anche un reato che la punisce. I fatti di Piacenza e Torino ci dicono tanto di una sotto-cultura diffusa fondata su tre pilastri: spirito di corpo, violenza e corruzione morale. Quanto accaduto nella caserma dei Carabinieri a Piacenza e nel carcere di Torino evidenzia anche un altro Stato che indaga, persegue, e speriamo giudichi, senza farsi condizionare da divise e stellette. La tortura non è questione che riguarda il terzo mondo incivile o il solo Egitto, nelle cui mani è ancora il nostro Patrick Zaky.
La tortura riguarda anche noi, la nostra democrazia, le nostre istituzioni e le nostre forze dell’ordine. Ben lo sapevano coloro che alla fine degli anni ’80 del secolo scorso proposero la nascita di un Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Nessun Paese è indenne dal rischio di essere luogo di maltrattamenti e violenze istituzionali.
A Piacenza, come a Torino, pare ci siano state forme di copertura o di omissione da parte di chi aveva responsabilità di direzione e di comando. Ugualmente era accaduto nelle violenze di Genova 2001, nelle torture di Asti 2004, così come scrissero i giudici nelle sentenze che aprirono le porte alle condanne europee. Il depistaggio è stato drammatico nel caso Cucchi. Vedremo come procederanno le inchieste.
La tortura è un crimine del potere. Esso è commesso da uomini in carne e ossa nel nome di un fine superiore e non dicibile.
Antigone, in questo e-book, piuttosto che limitarsi a raccontare solo episodi o inchieste ha scelto un’altra chiave narrativa, che è quella dell’approfondimento, sia giuridico che empirico. Il suo obiettivo è da un lato quello di esplorare le possibilità applicative della legge attualmente in vigore e dall'altro quello di fare luce sulle situazioni e i luoghi in cui il rischio di subire la tortura è più alto, individuando i nodi critici che ne impediscono l'emersione e gli strumenti più efficaci per prevenirla.
Al suo interno si possono leggere i contributi di Mauro Palma, Simona Filippi, Francesca Cancellaro, Giuseppe Mosconi, Gennaro Santoro, Federica Brioschi, Carolina Antonucci e Claudio Paterniti Martello. Si tratta degli atti della scuola di formazione di Antigone del novembre 2019, che ha avuto come oggetto per l'appunto la tortura.
Realizzata una guida all’esercizio del diritto alla salute in Italia. Un vademecum, con riferimenti pratici alle principali disposizioni di livello nazionale, ad uso degli operatori socio - sanitari
Roma, 15 luglio 2020 – Legance – Avvocati Associati e l’Associazione Antigone in collaborazione con la Direzione Legal & Compliance di MSD Italia hanno realizzato una "Breve guida all'esercizio del Diritto alla salute in Italia" (consultabile a questo link).
La Guida, che verrà distribuita presso le associazioni, gli sportelli legali che operano nelle carceri e attraverso la rete dei Garanti per i diritti dei detenuti, si pone l’obiettivo di offrire un concreto aiuto alle persone straniere che una volta arrivate in Italia si trovino a dover gestire le problematiche amministrativo-legali dell’accesso alle cure, nonché alle persone detenute presso gli istituti penitenziari nazionali o rimesse in libertà, con particolare riferimento alle persone straniere.
Si tratta di un valido supporto per sapersi districare in una legislazione complessa, fornendo le informazioni essenziali su diritti, doveri e attività da svolgere ai fini della fruizione dell’assistenza sanitaria pubblica, a seconda della specifica posizione personale.
"Il taser è un'arma estremamente pericolosa, che nella pratica viene utilizzata al posto del manganello e non delle armi da fuoco e che, come dichiarato dall'azienda che lo produce, ha un rischio di mortalità pari allo 0,25%. Ciò significa che se il taser venisse usato su 400 persone una di queste potrebbe morire. Chi di noi prenderebbe un farmaco sapendo che in un caso su 400 può essere mortale? Allo stesso modo come si può pensare di dotare le forze dell'ordine di un'arma così pericolsa?". A chiederlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, relativamente all'ordine del giorno approvato in Parlamento.
Numerosi organismi internazionali che si occupano di diritti umani e di prevenzione della tortura hanno denunciato la pericolosità di questo strumento e anche il rischio che se ne abusi. Nei giorni del Black Lives Matter, in cui la polizia statunitense è sotto accusa per le violenze contro le comunità nere, la Reuters ha rilanciato una sua inchiesta in cui si appura che dal 2000 ad oggi oltre 1.000 persone sono morte nei soli Stati Uniti a seguito dell'utilizzo del taser e che, di questi, la maggior parte erano persone nere. Un’altra ricerca, condotta da Apm Reports, sempre negli Stati Uniti nel corso del 2019, sui Dipartimenti di Polizia di dodici città americane, tra le quali New York e Los Angeles, ha messo inoltre in forte dubbio l’efficacia di questo strumento. Il Taser, secondo la ricerca, messa in risalto anche da Mauro Palma, Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà personale, nella sua recente Relazione al Parlamento, è stato infatti efficace solo circa nel 60% dei casi e, tra il 2015 e il 2017 per 250 volte, al suo impiego non efficace è seguita una sparatoria; in 106 casi, inoltre, il suo utilizzo ha determinato un aumento della reazione violenta della persona che si voleva ridurre all’impotenza. Dunque, oltre che pericolosa, quest’arma non è neanche efficace e, come suggerisce lo studio, lo è ancora di meno in ambienti come quelli con spazi ristretti o verso persone con disagio psichico che potrebbero avere una reazione di aggressività, controllabile invece con altri mezzi.
Carcere. La Relazione di Mauro Palma nell’anno dell’orgia securitaria salviniana con il decreto-sicurezza-bis, la criminalizzazione delle Ong , il sovraffollamento, fino alla pandemia
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 27 giugno 2020
Una boccata d’ossigeno in un ambiente denso di nubi, alcune potenzialmente tossiche. La Relazione annuale del Garante nazionale delle persone private della libertà è stata presentata simbolicamente in un’aula dell’Università Roma Tre. Una scelta, quella dell’università, per evocare quanto la questione delle garanzie, delle libertà, della tortura, della vita quotidiana nei luoghi di detenzione sia anche una questione culturale. Solo un sapere profondo e critico ha la forza di spingere verso trasformazioni sociali e mutamenti di pratiche, altrimenti lesive dei diritti fondamentali.
"La relazione presentata oggi dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, in occasione della giornata internazionale per le vittime di tortura, è di grande significato giuridico, costituzionale, sociale, ma anche simbolico. Essa ripercorre in modo assolutamente fedele un anno di vicende che hanno riguardato i luoghi di privazione della libertà e concordiamo totalmente sui contenuti della relazione stessa". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Gli attacchi scomposti e volgari dell'ex ministro degli interni Matteo Salvini, che ha definito l'Npm italiano come 'garante dei delinquenti', costituiscono un emblema di quella che è la sua cultura e il suo rispetto per le istituzioni, anche le più alte arrivando la nomina del Garante su decreto del Presidente della Repubblica, la sua conoscenza del diritto internazionale e del diritto interno, ma anche il rispetto per la legalità costituzionale" sottolinea ancora Gonnella. "Dire che è importante oggi avere un garante della polizia penitenziaria e non un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura significa non sapere cosa è stata la tortura nella storia, anche recentissima, del nostro paese e di come questo sia un rischio sempre incombente su cui occorre vigilare. Di fronte al populismo di chi fa affermazioni di questo genere ricordiamo che non c'è bisogno di un garante della polizia penitenziaria. Per direttori, educatori e agenti c'è bisogno invece di lavorare in serenità, di gratificazione sociale ed economica, di rispetto per le loro mansioni. Mansioni che sono quelle definite dalla costituzione" conclude il presidente di Antigone.
44 agenti di polizia penitenziaria sarebbero stati iscritti nel registro degli indagati per le presunte violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere la notte tra il 7 e l'8 aprile scorsi. Episodi su cui Antigone ha ricevuto numerose segnalazioni, tutte congruenti tra loro, sulla base delle quali, dopo una serie di approfondimenti, l'associazione ha potuto ricostruire quanto sarebbe avvenuto, inviando una nota al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e presentando un esposto alla competente Procura della Repubblica. Da quanto ricostruito da Antigone ci si troverebbe di fronte ad episodi di violenza generalizzata, scaturiti dopo la protesta dei detenuti avvenuta a seguito del diffondersi della notizia che uno dei reclusi del reparto "Nilo", addetto alla distribuzione della spesa, sarebbe stato posto in isolamento con febbre alta, affetto da Covid-19. La notizia generò paura e ansia, e queste generano in una protesta che coinvolse circa 150 reclusi. La protesta si sarebbe spenta alla sera, con la promessa di un colloquio con il Magistrato di Sorveglianza che si tenne effettivamente il giorno successivo. Una volta andato via il Magistrato, però, tra le 15 e le 16, decine di agenti sarebbero entrati nel reparto in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi, e lì, in gruppi, sarebbero entrati nelle celle prendendo i detenuti a schiaffi, calci, pugni e colpi di manganello. Altri detenuti sarebbero invece stati fatti uscire dalle celle e denudati per delle perquisizioni. Una volta spogliati sarebbero stati insultati e pestati.
Sono stati pubblicati da parte del ministero della Giustizia i dati relativi alla popolazione detenuta in Italia al 31 maggio 2020. Si registra ormai chiaramente come il calo delle presenze si sia fermato, dopo aver rallentato significativamente dalla metà di aprile in poi.
Il calo delle presenze da fine febbraio è a questo punto di 7.843 unità, un dato certamente significativo ma comunque insufficiente per portare le presenze in carcere al livello della capienza regolamentare, che alla stessa data era di 50.472 posti.
A gennaio 2020 l’indice del XVI Rapporto sulle condizioni di detenzione era già pronto. Avevamo a disposizione la più grande massa di dati e informazioni mai raccolta dall’Osservatorio di Antigone nella sua storia ventennale: nel 2019 i nostri Osservatori hanno visitato 98 istituti penitenziari, in ogni angolo del Paese. Praticamente una visita ogni tre giorni.
La fotografia complessiva era quella di un carcere in cui il sovraffollamento stava rapidamente tornando ai livelli del 2013, quando l’Italia fu condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, di un carcere “malato” con un detenuto su quattro in terapia psichiatrica e “anziano” con un quarto dei detenuti sopra i 50 anni.
Poi, improvviso e spaventoso, in Italia si è diffuso il contagio da Covid-19. La pandemia non ha risparmiato gli istituti penitenziari. E così, in pochi giorni, le vite di tutti sono state stravolte, compresa quella di Antigone e del suo Osservatorio.
Abbiamo subito capito che il XVI Rapporto andava rivoluzionato e avrebbe dovuto raccontare “Il carcere al tempo del coronavirus”, analizzando tre mesi di pandemia attraverso un grande racconto collettivo (42 gli autori che hanno contribuito). E così abbiamo provato a intrecciare dati quantitativi (a cominciare dal drastico calo di quasi novemila persone detenute, i contagiati tra operatori e ristretti, la situazione in Europa) e dati qualitativi (una lettura critica delle rivolte dell'8 e 9 marzo, di cosa hanno fatto il legislatore, l’amministrazione, i garanti delle persone private della libertà). Non abbiamo evitato gli argomenti più scomodi e divisivi, come le “scarcerazioni” di persone condannate o accusate per mafia detenute nelle sezioni 41bis e Alta sicurezza.
Il XVI Rapporto è diviso idealmente in tre parti, prima, durante e dopo la pandemia. Il minimo comune denominatore di tutti i contributi è che i diritti e le garanzie del sistema penale e penitenziario non possano essere cancellati o sospesi a data da destinarsi. Anzi, devono essere ciò che guida un sistema complesso anche durante l’emergenza sanitaria. Il Rapporto è a libero accesso di chiunque voglia leggerlo, criticarlo, studiarlo, citarlo. Buona lettura.
Michele Miravalle e Alessio Scandurra
LEGGI IL XVI RAPPORTO "IL CARCERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS"
LA CARTELLA STAMPA IN ITALIANO E IN INGLESE