E' stato lanciato oggi un quesito referendario che punta ad abrogare alcuni passaggi della legge 309/90 (il testo unico sulle sostanze stupefacenti), superando 30 anni di approccio proibizionista e criminalizzante sulla cannabis.
L'obiettivo è ambizioso, raccogliere oltre 500.000 firme entro il 30 settembre. Per questo, fin da subito, è importante firmare e far firmare sul sito referendumcannabis.it (per farlo basta essere in possesso dello Spid o della Carta di Identità Elettronica).
Circa il 35% dei detenuti reclusi oggi all'interno di un penitenziario è condannato per reati legati alle droghe. Il 25% dei detenuti ha poi una diagnosi di tossicodipendenza. Il carcere non può essere la soluzione, né per affrontare una questione complessa come quella delle droghe, né per trattare in maniera adeguata chi ha problemi legati alla propria salute. La cannabis rappresenta ancora oggi la sostanza che porta più persone a finire tra le maglie della giustizia.
Con questo referendum si vogliono affrontare alcuni aspetti in particolare, superando la criminalizzazione per chi coltiva cannabis per uso personale e cancellando le pene per chi ne vende piccole quantità. Inoltre, intervenendo sull'art. 75 del testo unico, si prevede di eliminare il ritiro della patente conseguente all'uso di cannabis, anche quando quest'uso non avvenga mentre si è alla guida o non si avvenuto poco prima di mettersi al volante.
Un passo deciso in avanti, verso politiche che siano guidate da un approccio pragmatico e scientifico.
I dati del Viminale. Nell’ultimo anno (l’arco di tempo prescelto è 1 agosto 2020-31 luglio 2021), rispetto all’analogo periodo precedente, gli omicidi sono calati di circa il 6%, nonostante le donne assassinate.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 17 agosto 2021
L’Italia è un Paese che non ha un’emergenza criminalità. I dati statistici di agosto lo confermano in modo inequivoco. In base ai numeri forniti dal ministero degli Interni, nell’ultimo anno (l’arco di tempo prescelto è 1 agosto 2020-31 luglio 2021), rispetto all’analogo periodo precedente, gli omicidi sono calati da 295 a 276, ossia di circa il 6%. Siamo a un tasso di omicidi pari allo 0,46 ogni 100 mila abitanti, una dei più bassi in Europa. E gli omicidi calano nonostante sia ancora troppo alta la quota di donne assassinate, ben 105. Guardando le statistiche criminali, dunque, possiamo osservare che sono diminuiti significativamente negli ultimi vent’anni gli omicidi riconducibili alla criminalità organizzata, alla criminalità comune, o quelli avvenuti a seguito di furti o rapine. Mentre non è rallentata la violenza di genere. Sempre nell’ultimo anno sono decresciuti i furti (-12,8%) e le rapine (-3,8%), nonostante l’anno precedente era stato quello del lockdown con almeno due mesi di criminalità anestetizzata.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 13 agosto 2021
Chissà cosa mai avrebbe detto don Milani se avesse letto quell’ordinanza di un tribunale di sorveglianza che, nel negare a un detenuto una misura esterna di maggiore libertà, afferma perentoriamente che quel detenuto ha studiato troppo e potrebbe usare le sue lauree (conseguite durante la carcerazione) e la sua cultura universitaria per andare a rafforzare la sua dimensione criminale. Tutto ciò è accaduto nella dotta Bologna che vanta una delle università più nobili e antiche della storia italiana. C’è da restare basiti, ma anche un tantino preoccupati. Non so da quale argomento partire a spiegazione della mia incredulità e di tutta la comunità di Antigone, investita del caso dopo che il detenuto coinvolto aveva manifestato tutta la sua disperazione. Un’incredulità condivisa da tanti studiosi e giuristi, tra cui il prof. Giovanni Maria Flick, autore insieme alla nostra avvocatessa Francesca Cancellaro del ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Questa mattina abbiamo presentato il nostro rapporto di metà anno sulle condizioni di detenzione in Italia.
In un carcere sconvolto dalle immagini della mattanza avvenuta nell'istituto di Santa Maria Capua Vetere, questa della violenza non è l'unica emergenza che riguarda il sistema penitenziario italiano. Sono diverse infatti le problematiche che vanno afrrontate con urgenza. Resta presente quella del sovraffollamento con un tasso che supera il 113% con oltre 53.000 detenuti a fronte di 47.000 posti disponibili. Per affrontare la questione basterebbe incentivare le misure alternative. Sono poco meno di 20.000 i detenuti che, con un residuo pena di meno di 3 anni, potrebbero accedervi. Un ulteriore intervento potrebbe riguardare una modifica della legge sulle droghe. 1 detenuto su 4 ha una diagnosi di tossicodipendenza e queste persone andrebbero prese in carico dai servizi territoriali per affrontare la loro problematica e non chiusi in un carcere.
Nonostante la pandemia, negli ultimi 12 mesi il nostro osservatorio ha visitato 67 carceri. Nel 42% degli istituti oggetto del monitoraggio sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono passaggio di aria e luce naturale. Nel 36% delle carceri vi erano celle senza doccia (il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che, entro il 20 settembre 2005, tutti gli istituti installassero le docce in ogni camera di pernottamento). Nel caldo di questi giorni estivi si può facilmente immaginare la difficoltà di vivere in questi luoghi. Difficoltà accentuata dal fatto che, proprio a causa della pandemia, nel 24% degli istituti ci sono sezioni in cui si si è passati dal regime a celle aperte a quello a celle chiuse. Anche se il primo resta ancora predominante.
"Anche per gli episodi avvenuti nel carcere di Torino, a conclusione delle indagini, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per 25 tra agenti e operatori. Tra i vari reati contestati c'è anche quello di tortura. Antigone, in caso di processo, chiederà di costituirsi parte civile dopo avere presentato un proprio esposto. Ci auguriamo che, come sta avvenendo in altri casi, anche il Governo faccia lo stesso. I fatti oggetto di indagine sono diversi rispetto a quelli accaduti a Santa Maria Capua Vetere ma altrettanto raccapriccianti con responsabilità che toccano la gestione del sistema. Si tratta dell'ennesimo caso emerso negli ultimi mesi, dopo l'emissione dell'ordinanza cautelare per le violanze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e le condanne per tortura ai danni di poliziotti penitenziari nel carcere di Ferrara e San Gimignano. Inoltre ci sono diversi procedimenti aperti, molti dei quali seguiti dalla nostra associazione, per presunte violenze e torture avvenute in altri istituti penitenziari.
Episodi che sono il segno evidente della necessità di profonde riforme all'interno del sistema penitenziario italiano. Va rivisto drasticamente il modello di organizzazione pensando a una formazione diversa e multidisciplinare degli agenti penitenziari. Bisogna prevenire i fatti di tortura attraverso la previsione di video sorveglianza in tutti gli istituti, sottoscrizione di un codice deontologico, predisposizione di linee guida nazionali sull'uso della forza, assunzione di personale civile, fino ad una maggiore generalizzata apertura ai fini di una umanizzazione della pena. Chiediamo al Dap che dia un messaggio netto in questo senso a tutti gli operatori. Antigone ha presentato una proposta di riforma del regolamento penitenziario che va in questo senso".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
Bisogna aver visto, scriveva Pietro Calamandrei su un numero della rivista il Ponte, interamente dedicata al carcere. Quel numero accolse il racconto di numerosi intellettuali che avevano vissuto le carceri fasciste. Bisogna aver visto un carcere, diceva Calamandrei, per comprenderne la funzione sociale e misurarne il divario rispetto agli scopi attribuiti a questo luogo.
Per queste ragioni riteniamo di grande importanza la visita di oggi pomeriggio al carcere di Santa Maria Capua Vetere del Presidente del Consiglio Mario Draghi e della Ministra della Giustizia Marta Cartabia. Vedere in prima persona può essere un modo importante per rendersi conto di quanto le condizioni di detenzione oggi siano afflittive e in molti casi lontane dagli scopi costituzionali della pena. Ci auguriamo che dopo questa visita si riavvii quel processo di riforme che aveva interessato il nostro Paese all'indomani della condanna del 2013 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Lo scorso giugno il Sottocomitato per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite ha pubblicato due pareri di follow-up in materia di detenzione in periodo pandemico. Questi aggiornamenti rappresentano il prosieguo di avvertenze che fin dall’esordio della diffusione del coronavirus Covid-19 la Sottocommissione si era premurata di produrre e sottoporre ai Paesi aderenti all’Opcat (il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura) un parere sui luoghi di detenzione (marzo 2020) e poi ancora un altro parere nell’aprile successivo agli Stati e ai Meccanismi nazionali di prevenzione (NPM). Ad entrambi il Sottocomitato aveva chiesto di fornire informazioni sulle misure che di lì in avanti si sarebbero adottate negli istituti di pena in risposta al pericolo virale.
Sono stati 49 su 90 Stati parte del protocollo, quelli a fornire delle risposte che hanno poi permesso il follow-up. Tra i membri dell’Unione europea le adesioni sono state di 19 paesi su 27 (Non hanno risposto: Belgio, Finlandia, Georgia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca). Mentre sono stati 69 gli NPM che hanno segnalato al Sottocomitato i problemi riscontrati nei sistemi di reclusione di cui sono Garanti nel corso di questa emergenza pandemica.
S. Maria Capua Vetere. Non c’è attenuante che regga: lo stress, le proteste dei giorni precedenti, il virus. Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti
di Patrizio Gonnella su il manifesto dell'1 luglio 2021
Le immagini interne al carcere di Santa Maria Capua Vetere parlano chiaro. Tutti abbiamo potuto vedere le violenze gratuite e brutali commesse da agenti di Polizia Penitenziaria su qualunque detenuto gli passasse sotto mano, finanche se su sedia a rotelle. È’ stata una rappresaglia indiscriminata, illegale, disumana che non ammette alcuna giustificazione. Non c’è attenuante che regga: lo stress, le proteste dei giorni precedenti, il virus. Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti. È qualcosa che ci porta dentro l’antropologia della pena e della tortura.
L'inchiesta. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 29 giugno 2021
Torture, lesioni, depistaggio, falso. Non è questo un sommario dei fatti accaduti a Genova nel 2001 ma è il cuore dell’inchiesta sulle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 in pieno lockdown. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria.
Il primo elemento è la pianificazione della rappresaglia. Dalle conversazioni via whatsapp avvenute tra gli agenti, tratte dagli smartphone sequestrati all’indomani dei fatti, emerge chiara la voglia di vendicarsi per le proteste inscenate dai detenuti nei giorni precedenti. La vendetta si consuma sempre con un’azione spettacolare di forza e violenza. L’operazione a Santa Maria Capua Vetere, che viene giustificata con l’esigenza di fare una perquisizione straordinaria alla ricerca di armi improprie, è condotta da centinaia di agenti quando oramai in carcere non c’era più tensione.
Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nei giorni della Settimana Santa, un commando di oltre un centinaio di poliziotti, a viso coperto e in tenuta antisommossa, secondo le testimonianze, entrava nell’istituto dando vita ad un pestaggio disumano ai danni dei detenuti reclusi nel reparto Nilo. Queste denunce sono state poste all’attenzione della nostra Associazione da diversi familiari dei ristretti nelle immediate ore successive al 6 aprile 2020. Da subito abbiamo avuto la percezione che quello di cui ci veniva raccontato avrebbe costituito una grave sospensione delle garanzie del nostro stato di diritto, che aveva condotto all’esercizio incondizionato e brutale della violenza da parte delle forze dell’ordine.