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Carcere. Ivrea: avvisi di garanzia per le presunte violenze in carcere. Antigone: "grazie alla Procura di Torino per le indagini dopo anni di disinteresse"

Muro carceriSarebbero 25 gli avvisi di garanzia recapitati ad agenti penitenziari, funzionari e medici in servizio al carcere di Ivrea e accusati, a vario titolo, di lesioni e falsi aggravati per le presunte violenze su alcuni detenuti. 

I casi indagati dalla Procura si riferiscono al periodo che va dal 2015 al 2016. "Antigone - sottolinea l'avvocata Simona Filippi, che per l'associazione segue il contenzioso legale - era venuta a sapere di diversi casi di presunte violenze e aveva presentato alcuni esposti alla Procura di Ivrea, territorialmente competente, anche a seguito delle denunce presentate dal Garante comunale della città piemontese. Nei mesi successivi - sottolinea Filippi - abbiamo registrato un sostanziale immobilismo da parte della Procura eporediese che portò a ben due richieste di archiviazione a cui ci opponemmo. Proprio a seguito di quello che, a nostro rilievo, era un mancato esercizio dell'azione penale, chiedemmo l'avocazione delle indagini al Procuratore generale presso la Procura di Torino che, a due anni di distanza, avrebbe emanato questi avvisi di Garanzia". 

Nell'atto dell'accusa - come riporta anche La Stampa - si legge che Hamed, uno dei detenuti il cui caso Antigone aveva segnalato con un esposto e ora oggetto delle indagini, fu picchiato con pugni e calci da sette agenti. In due gli tenevano ferme le braccia. Gli altri menavano. E il medico di turno della casa circondariale continuava a sorseggiare il caffè delle macchinette automatiche. Non un cenno, non un intervento per fermarli. Nemmeno una comunicazione al direttore come sarebbe stato suo dovere. 

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59 suicidi, l’allarme inascoltato dell’estate tragica

Poggiorealedi Patrizio Gonnella su il manifesto del 4 settembre 2022

«Hanno tolto il disturbo 57 detenuti, 57 persone, tutti principini e onesti italiani, hanno tolto il disturbo …finalmente una buona notizia…porca mad.. dal Friuli che non è Italia». Questo è il contenuto di una mail che abbiamo ricevuto qualche giorno fa, a commento del nostro racconto di una tragica estate carceraria italiana. 

Il bestemmiatore (per rispetto nei confronti di chi si potrebbe sentire offeso ho tagliato la sua espressione) è felice per i 57 detenuti morti. Forse lo sarebbe ancora di più oggi visto che il numero delle persone che si è tolta la vita in galera è salito a 59.  Un numero mai così alto negli ultimi decenni, segno di una disperazione che da individuale è diventata collettiva. 

Nel solo mese di agosto ogni due giorni si è suicidata una persona in carcere. Una percentuale che, se proiettata nella società libera, farebbe tremare i polsi, facendo pensare a forme prossime al suicidio di massa. Non è facile dare una spiegazione unitaria a gesti compiuti nella solitudine individuale. Sarebbe quasi irriguardoso delle loro vite, purtroppo oramai spente. 

Possiamo solo dire che quella disperazione individuale non è stata intercettata al punto da evitare che il suicidio fosse portato a compimento. Il signore friulano che, nel nome degli italiani onesti, gioisce di fronte all’altrui morte dovrebbe sapere che il suo odio verso i detenuti non migliora la qualità della sua vita, che la sua violenza verbale non è meno grave e offensiva del furto di 180 euro o di una pecora che avevano portato in prigione due delle persone che hanno deciso di farla finita. 

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Suicidi. Persone, vite, storie. Non solo numeri

 

302Nei primi mesi del 2022 sono già 59 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane. Più di una ogni quattro giorni. Sin dall’inizio dell’anno il fenomeno ha mostrato segni di preoccupante accelerazione, fino a
raggiungere l’impressionante cifra di 15 suicidi nel solo mese di agosto, uno ogni due giorni.
A fronte di questo dramma, abbiamo deciso di realizzare un dossier dove ripercorriamo i numeri, i luoghi e alcune delle storie delle persone che si sono tolte la vita in carcere.
Per evitare che cadano nel dimenticatoio e per rompere il silenzio attorno a questo tema.

A questo link il dossier

 

Carcere. Nel 2022 già 57 suicidi, lo stesso numero registrato in tutto il 2021. Antigone: "liberalizzare le telefonate"

Copia di DRAMMA SUICIDI IN CARCERE 1080  1350 px"Il carcere non è una condanna a morte. È necessario intervenire affinché il dramma che sta interessando gli istituti di pena italiani in questo 2022 si possa fermare". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.  Nei primi 8 mesi di quest'anno sono stati 57 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri. Gli ultimi due in Sicilia, uno a Caltanissetta e l'altro a Siracusa. Ad agosto abbiamo registrato 14 suicidi, più di uno ogni due giorni. 57 furono le persone che si suicidarono in carcere in tutto il 2021. 

"Proprio in questo mese così drammatico la nostra associazione - prosegue Gonnella - ha lanciato la campagna "Una telefonata allunga la vita", chiedendo una riforma urgente del regolamento del 2000 che porti ad una liberalizzazione delle telefonate per i detenuti. In un momento di sconforto, sentire una voce familiare, può aiutare la persona a desistere dall'intento suicidario. I 10 minuti a settimana previsti attualmente non hanno più nessun fondamento, né di carattere tecnologico, né economico, né securitario. Cambiare quel regolamento non comporta alcun atto legislativo e il Governo potrebbe farlo anche in questa fase transitoria". 

"Dell'importanza dell'affettività per i detenuti - continua il presidente di Antigone - ci parla anche la relazione finale della Commissione ispettiva del Dap, chiamata ad indagare sulle ragioni delle rivolte che scoppiarono nelle carceri nel marzo 2020".

Secondo questa, ad innescare le proteste non fu infatti una cabina di regia criminale. Il motivo va invece ricercato nell'insoddisfazione della popolazione detenuta per la poco dignitosa qualità della vita penitenziaria e, soprattutto, nella sospensione dei colloqui in presenza con i familiari. 

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Rivolte e suicidi in carcere ci raccontano dell'importanza dell'affettività

121649365-4dbfbac4-4c04-4e7b-8bda-7bcebf2775c1Ad innescare le proteste nelle carceri non fu una cabina di regia criminale. Il motivo va invece ricercato nell'insoddisfazione della popolazione detenuta per la poco dignitosa qualità della vita penitenziaria e, soprattutto, nella sospensione dei colloqui in presenza con i familiari. A scriverlo è la Commissione ispettiva del Dap, presieduta dall’ex procuratore Sergio Lari, nella relazione finale sulle rivolte nelle carceri avvenuta nel marzo del 2020. 

Già in quei giorni di marzo avevamo capito che quelle chiusure sarebbero state un aggravio enorme per chi, già normalmente, ha rapporti rarefatti con i propri affetti. Tanti erano i detenuti e i familiari che si rivolgevano a noi in un misto di paura, preoccupazione, ansia, dovuto a quanto stava accadendo con il diffondersi del Covid-19, di cui sapevamo tutti molto poco e per il quale tutti avevamo negli occhi le immagini terribili di ospedali al collasso e delle ambulanze che sfrecciavano nelle città deserte. Per questo, da subito, avevamo chiesto al DAP di dotare i detenuti di telefoni e tablet, consentendo di videochiamare i familiari, ben oltre i 10 minuti alla settimana previsti dal regolamento penitenziario. Quella nostra richiesta fu accolta e in pochi giorni oltre 1.000 telefoni e tablet arrivarono nelle carceri, superando anni di ostruzionsimo su questo tema. 

Oggi stiamo chiedendo la stessa cosa come strumento per prevenire i suicidi. L'esito della relazione della Commissione del Dap dovrebbe farci capire quanto l'affettività, il poter sentire e vedere i propri familiari, sia importante per chi è detenuto. Anche, appunto, nel prevenire qualsiasi intenzione suicidaria.

Si liberalizzi il numero di telefonate a disposizione dei detenuti quindi. E lo si faccia presto.

Meglio una telefonata che una manciata di voti incattiviti

8196398253 b323a88bf7 odi Patrizio Gonnella su Il manifesto dell'11 agosto 2022

«Mio figlio si è tolto la vita». «Mio padre si è ammazzato». «Mia sorella si è suicidata». Mio marito, mia moglie, mio cugino, la mia amica sono morti in carcere. «Era in galera da pochi mesi». «Era disperata, sola». «Stava male, aveva già tentato di ammazzarsi varie volte». «Era all’inizio della pena». «Avrebbe dovuto essere liberato». «Era dentro per un avere rubato una pecora». Ogni volta che sulla posta elettronica di Antigone o nei nostri telefoni arrivano mail o chiamate di questo tenore, ci si spezza il cuore. 

Chi, tra amici e familiari, resta in vita è basito, distrutto, vuole sapere quello che è accaduto. Quella del suicidio è una notizia che arriva, non di rado, a distanza di troppo tempo dall’ultima visita, dall’ultima telefonata. Una notizia che non si vorrebbe mai avere. Dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita 48 persone. Quasi una ogni mille persone recluse. Se si fossero ammazzate dall’inizio dell’anno 60 mila italiani liberi, ovvero la stessa proporzione dei detenuti suicidati rispetto al totale della popolazione reclusa, avremmo pensato a un’emergenza nazionale da affrontare con tutti i mezzi a disposizione, anche di fronte a un governo dimissionario, anche con le elezioni alle porte e con l’obbligo di non uscire dal confine degli affari correnti. D’altronde, le emergenze ben possono essere ricondotte nei limiti di ciò che è affare corrente di cui occuparsi. È una questione etica, oltre che politica. 

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Carceri. Antigone: "44 suicidi in 7 mesi, chiediamo alle forze politiche e al Governo di non ignorare questo dramma"

carcere corridoio"Quattro suicidi negli ultimi 4 giorni. 44 dall'inizio dell'anno. Le persone così diventano numeri. Un dramma continuo, quello che riguarda le carceri italiane, che non trova eguali negli ultimi anni. Un numero elevatissimo di suicidi superiore a quello riscontrato nel periodo di maggiore sovraffollamento, quando l'Italia fu condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per le condizioni inumane e degradanti delle sue galere.
Ogni suicidio, va ricordato, è un atto a sé, legato alla disperazione di una persona. Tuttavia, quando i suicidi sono così tanti (nel 2022 uno ogni meno di 5 giorni) e in carcere ci si uccide 16 volte in più che nel mondo libero, l'intero sistema penitenziario e quello politico non possono non interrogarsi sulle cause di questo diffuso malessere.
Ad uccidersi sono persone spesso giovani, la maggior parte di chi si è tolto la vita quest'anno aveva tra i 20 e i 30 anni. I problemi che possiamo riscontrare, anche guardando alle carceri dove sono avvenuti questi suicidi, sono sempre gli stessi: cronico sovraffollamento, elevata percentuale di detenuti stranieri, di tossicodipendenti e di detenuti affetti da patologie psichiatriche, ed una carenza di personale specializzato per farsi carico di queste criticità. 

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Per sopportare il grande caldo bisogna modernizzare la vita in carcere e ridurre il sovraffollamento

finestre schermate carcere"Alle ondate di caldo sempre più forti prodotte dai cambiamenti climatici non sono immuni neanche le carceri che, sempre di più, dovranno far fronte anche a questa variabile che può mettere a rischio la salute e la dignità delle persone detenute e degli operatori". A dirlo è stato Patrizio Gonnella - presidente di Antigone - durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto di metà anno dell'associazione che, dal 1991, si occupa di tutela dei diritti nel sistema penale e penitenziario.
Un rapporto che, a partire dal titolo "La calda estate delle carceri", aveva al suo centro anche questa questione.

Le carceri italiane non sono attrezzate per affrontare il caldo che ormai negli ultimi anni stiamo vivendo, ricorda Antigone. Il sovraffollamento rappresenta un problema evidente. In carcere si sta stretti e nelle celle e nelle sezioni ci sono più detenuti - in alcuni casi molti più detenuti - di quanti ce ne dovrebbero essere. Il tasso ufficiale di affollamento a fine giugno era del 107,7%, con 54.841 persone recluse su 50.900 posti, anche se il tasso effettivo - conteggiando i posti letto realmente disponibili, che a luglio 2022 erano 47.235, è del 112%. In alcune regioni poi la situazione è ancora più difficile. In Lombardia, ad esempio, il tasso di affollamento è del (148,9%), mentre ci sono ben 25 carceri dove si riscontrano tassi superiori al 150%, cioè dove ci sono 15 detenuti laddove ce ne dovrebbero essere 10. I casi più critici si riscontrano negli istituti di Latina, con un tasso di affollamento reale del 194,5%; Milano San Vittore, che con 255 posti non disponibili ha un tasso di affollamento del 190,1%; Busto Arsizio, con tasso di affollamento al 174,7%; Lucca, con 24 posti non disponibili e un tasso di affollamento del 171,8%; infine il carcere di Lodi, con un tasso di affollamento al 167,4%. 

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Parte l'attacco alle legge sulla tortura

Tortura San Gimignanodi Patrizio Gonnella su il manifesto del 26/07/2022

«Difendiamo chi ci difende». Così si è espressa nel 2018 Giorgia Meloni sui social proponendo di cancellare l’attuale legge sulla tortura in quanto impedirebbe alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro. Ancora più esplicito Edmondo Cirielli, Questore della Camera per Fd’I e autore di quella infausta legge sulla recidiva che produsse a partire dal 2006 eccessi di sovraffollamento carcerario: «Cancelleremo questa orribile norma sul piano giuridico che criminalizza e discrimina le Forze dell’Ordine». 

E lo dichiarò, non a caso, dopo il rinvio a giudizio di cinque agenti della Polizia Penitenziaria accusati di tortura nei confronti di un detenuto di nazionalità straniera nel carcere di San Gimignano. Il tutto mentre Matteo Salvini li andava a incontrare fuori dal carcere toscano, definendo l’incontro interessante e commovente. 

Nel 2022, in un Paese solidamente democratico, dunque, c’è chi ritiene che si debba empatizzare con i presunti torturatori e non con i torturati. 

Giusto per capire cosa rischia il nostro ordinamento giuridico, sempre Fd’I ha proposto, addirittura, una modifica dell’articolo 27 della Costituzione aggiungendo il seguente periodo: «La legge garantisce che l’esecuzione delle pene tenga conto della pericolosità sociale del condannato e avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini». Altro che funzione rieducativa della pena. 

Dunque, se mai la coalizione di destra dovesse vincere con maggioranza ampia, ci si deve attendere che metta mano a quella norma scritta da personalità straordinarie della storia italiana che avevano vissuto l’onta e il terrore delle carceri fasciste. Sarebbe una rottura drammatica che ci porrebbe fuori dalla legalità internazionale e dalla storia del pensiero giuridico liberale, nel nome di un populismo penale dai contorni pericolosi. 

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Carceri. Donna perde un bambino al nono mese. Antigone: "tutelare la gravidanza"

284982363 389707596537265 6429093686266256265 nA inizio giugno, durante la visita nel carcere di milanese di San Vittore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, abbiamo incontrato 8 donne in stato di gravidanza. Un numero altissimo, che non ha pari nel resto del Paese. Oltretutto in un carcere dove manca un servizio ginecologico e medici specialisti. 

Ci avevano raccontato anche di una nona ragazza, all’ottavo mese di gravidanza, portata d’urgenza in ospedale qualche settimana prima. Oggi apprendiamo che proprio quella ragazza all’arrivo in ospedale, il 30 maggio scorso, ha perso il suo bambino. 

Quella giovane donne sapeva che la sua gravidanza aveva delle complicanze e che il suo bambino sarebbe probabilmente nato prima del nono mese. I medici le avevano raccomandato di recarsi immediatamente in ospedale in casi di dolori. Nel frattempo è stata arrestata. 

"La legge italiana - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - permette che la donna in caso di gravidanza possa non entrare in carcere ed essere sottoposta a diversa misura. Si tratta di una scelta di civiltà, che tutela la salute della donna e del bambino". 

"Sul caso specifico - dichiara ancora Gonnella - chiediamo si faccia piena luce, accertando le responsabilità e chiarendo cosa è davvero successo quel 30 maggio nel carcere di San Vittore e quanto tempo è trascorso da quando la donna ha iniziato a lamentare dolori al suo ricovero in ospedale. Vanno chiarite le modalità di trasporto della donna in ospedale: se sia stato fatto sotto controllo medico e in ambulanza oppure se la donna sia stata ammanettata e accompagnata in ospedale scortata solo dalla polizia penitenziaria. Serve inoltre - conclude Gonnella - che si riservi maggiore attenzione alla tutela della gravidanza".

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