di Patrizio Gonnella su il manifesto del 9 maggio 2020
La campagna sulle scarcerazioni facili è ricca di imprecisioni, generalizzazioni, nonché profondamente rischiosa. Rischia di fare molto male a tutta la comunità penitenziaria. In primo luogo alla gran massa dei detenuti che con la mafia non c’entra nulla e che ora potrebbe subire un’ondata di chiusure.
Va ribadito che l’affollamento carcerario non consente quel distanziamento fisico che i virologi ritengono decisivo per evitare la diffusione del contagio. La riduzione della popolazione detenuta avvenuta negli ultimi due mesi – da 61 a 53 mila – è frutto, per parti più o meno uguali, di provvedimenti di detenzione domiciliare e mancati nuovi ingressi. Se non ci fosse stata questa riduzione globale nei numeri, ancora insufficiente visto che in alcune celle si vive in sei in meno di 20 metri quadri, forse avremmo avuto decine di nuovi focolai ingestibili, al pari delle Rsa.
"Anche nel caso relativo alla concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute a Pasquale Zagaria si sta creando un polverone strumentale e inaccettabile. La magistratura di sorveglianza deve poter svolgere il proprio lavoro in modo indipendente applicando la legge. La legge, a partire dalla nostra Costituzione, prevede che il diritto alla salute sia garantito ad ogni individuo (art. 32) e che la pena non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27). Disposizioni che valgono per tutti, senza eccezioni di sorta.
La preannunciata ispezione ministeriale sembra quasi voler disincentivare il ruolo di garanzia giurisdizionale dei magistrati e sembra voler rispondere ad un montare di prese di posizioni strumentali, di chi concepisce la pena come vendetta e pensa, in spregio al disposto della nostra Carta costituzionale, che i detenuti debbano marcire in carcere.
Venerdì sono state pubblicati dal Ministero della giustizia i dati relativi alle presenze in carcere al 31 marzo disaggregati per regione e per posizione giuridica. Questo consente una prima analisi dell’andamento della popolazione detenuta che tenga in conto le differenze tra le varie regioni italiane.
Al 31 marzo i detenuti presenti in carcere erano 57.846, 3.384 in meno rispetto alla fine di febbraio. Si tratta di un calo delle presenze complessivo del -5,5% della popolazione detenuta in Italia, ma come si può immaginare il calo è distribuito in modo molto disomogeneo nel territorio nazionale.
In Emilia-Romagna nello stesso periodo la popolazione detenuta è calata del 16,3%, in Lombardia del 7,2%, valori fortunatamente superiori alla media, trattandosi di due regione tra le più colpite dalla attuale emergenza Coronavirus. Purtroppo si registra invece un calo inferiore alla media nazionale in Veneto, del 3,8%, e addirittura del solo 1% in Piemonte, regioni anche queste pesantemente colpite. E nello stesso periodo la popolazione detenuta nelle Marche ed in Calabria è addirittura cresciuta.
Qualora sia vero che non ci saranno modifiche rilevanti agli articoli 123 e 124 del decreto Cura Italia, per quanto riguarda le carceri, si commette un errore gravissimo, sulla pelle di operatori penitenziari, poliziotti, detenuti. In questa fase grave per il paese ci si affida giustamente in tutti gli ambiti ad esperti italiani ed internazionali per affrontare l’emergenza.
Questo per ora non sta avvenendo per le carceri, dove al ministero della Giustizia non ci si affida alle indicazioni provenienti da Onu, Consiglio d’Europa, Garante nazionale delle persone private della libertà e garanti territoriali, professori di diritto e procedura penale, alti magistrati a partire dal Procuratore generale presso la corte di Cassazione, avvocati, magistrati di sorveglianza, funzionari penitenziari, ma anche autorità morali come papa Francesco. Tutti chiedono misure urgenti e straordinarie per ridurre drasticamente il sovraffollamento. Misure che creino spazio fisico, misure utili ad assicurare il distanziamento sociale.
In carcere abbiamo bisogno di liberare 10 mila persone almeno mandole ai domiciliari o in misure alternative, anche perché sempre più sono gli operatori e i poliziotti costretti a stare a casa in quanto risultati positivi. Se c’è tempo si rimedi e si prendano provvedimenti incisivi. Evitiamo che le carceri diventino le nuove Rsa.
Ci appelliamo a chiunque abbia a cuore la salute delle persone e la solidarietà affinchè non si dia ascolto a chi dice - sono pochi ma influenti, pare- che in carcere si sta più sicuri e al riparo dal virus. Non è vero. Il carcere non è, al pari di tutte le strutture affollate, il luogo dove affrontare la pandemia. Si liberino tutti coloro che sono a fine pena, a prescindere dalla disponibilità dei braccialetti elettronici. Si liberino tutti gli anziani e i malati oncologici, immunodepressi, diabetici, cardiopatici prima che contraggano dentro il virus che potrebbe essere letale. Si dia ascolto a che le prigioni le conosce bene e non a persone che non hanno mai vissuto l’esperienza carceraria e non sanno cosa significhi respirare l’ansia e la tensione in quel contesto.
In molte carceri italiane sono attive delle cliniche legali che offrono gratuitamente assistenza alle persone recluse. Tra queste ci sono anche quelle attivate dalla nostra associazione in alcuni istituti della penisola. Le attività di queste cliniche sono ormai da oltre un mese bloccate a causa dell'emergenza sanitaria legata al coronavirus e ai limiti imposti dai decreti governativi. Tuttavia forte resta la preoccupazione per quanto sta avvenendo nelle carceri e per quanto potrebbe avvenire se si diffondesse il covid-19, cosa che peraltro sta iniziando ad avvenire. Per questo il coordinamento nazionale delle cliniche legali ha inviato un appello, a cui anche noi abbiamo aderito, al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria affinché si intervenga in maniera decisa per tutelare un bene preziosissimo e costituzionalmente garantito, quale quello alla salute.
Di seguito il testo dell'appello:
E' risultato positivo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere un detenuto che, a quanto abbiamo saputo, già dal 26 marzo manifestava sintomi di malessere riconducibili ad un contagio da Covid19.
"Questo caso ci era stato segnalato lo scorso 31 marzo dai famigliari dell'uomo, preoccupati per il suo stato di salute e per le minime cure a cui era stato sottoposto fino a quel momento. Con il nostro difensore civico e la nostra sede regionale campana lo abbiamo dunque preso in carico e seguito, chiedendo al carcere quali fossero le condizioni dell'uomo, a quali cure fosse stato sottoposto e sollecitando la richiesta di sottoporlo al tampone per verificare il possibile contagio". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Dal provveditorato regionale eravamo stati messi al corrente del fatto che il tampone sarebbe stato eseguito nel pomeriggio di ieri, e oggi abbiamo avuto conferma della sua positività e del trasferimento dell'uomo nella terapia intensiva dell'Ospedale Cotugno" chiarisce Luigi Romano, presidente di Antigone Campania.
In questa pagina riportiamo alcuni dei provvedimenti in materia di detenzione domiciliare e sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, emessi recentemente da alcuni tribunali penali e uffici di sorveglianza alla luce della attuale epidemia di covid-19.
La pagina è curata dall'Avvocato Dario Di Cecca.
Tribunale Penale di Roma in composizione monocratica, VIIa Sezione, sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, provvedimento del 18/03/2020. Per il detenuto malato che necessita di indagini strumentali già programmate, si tiene conto delle «attuali restrizioni degli spostamenti dei detenuti dal carcere verso strutture sanitarie esterne, a motivo della diffusione del COVID 19». Il provvedimento.
G.I.P. del Tribunale di Milano, ordinanza di sostituzione della misura cautelare del 23/03/2020. La misura della custodia cautelare in carcere è sostituita con gli arresti domiciliari anche «in considerazione della attuale situazione di emergenza sanitaria evidenziata nella nota prot. N. 347/2020» del Procuratore Aggiunto e del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano. L'ordinanza.
Ufficio di Sorveglianza di Milano, ordinanza del 20/03/2020 con cui si concedere l’ammissione provvisoria all’affidamento in prova al servizio sociale ex art 47 comma 4 OP. Il magistrato, «quanto all’esistenza del grave pregiudizio legittimante una pronuncia in via provvisoria» considera che «l’ammissione alla misura alternativa consentirebbe al condannato di riprendere l’attività lavorativa, attualmente interrotta a causa della sospensione dell’esecutività degli art. 21 OP in ragione della attuale emergenza sanitaria da Covid-19, al fine di limitare il rischio di contagio all’interno delle carceri». L'ordinanza.
Ufficio Sorveglianza Milano, ordinanza del 16/03/2020 con cui viene concesso il differimento pena ex artt. 47 ter co. 1 ter e co. 1 quater OP e 147 cp. Viene «considerata l’incidenza, sul rischio di una evoluzione negativa della grave patologia, il fattore di stress costituito dallo stato detentivo e dai rischi connessi all’emergenza sanitaria in atto, che in una situazione di salute così compromessa e a fronte della possibilità di evoluzione in senso peggiorativo può comprensibilmente costituire esso stesso causa di aggravamento». L'ordinanza.
Ufficio Sorveglianza Pavia, decreto del 20/03/2020 con cui si dispone il rigetto ex 47 ter co.1 quater OP. Il Magistrato di Sorveglianza di Pavia non ha ritenuto di concedere il beneficio penitenziario richiesto (ammissione provvisoria alla detenzione domiciliare), «ritenuto che il paventato pericolo cui il soggetto sarebbe esposto in ragione delle descritte condizioni di salute rispetto al possibile contagio da COVID-19, non costituisce un elemento di incompatibilità con la detenzione carceraria, non essendovi indicazioni in merito a frequenza di contagio da Covid 19 maggiore in carcere rispetto che all’ambiente esterno». Il Magistrato ha anche ritenuto che «nel caso di specie, il domicilio del condannato è situato in Garbagnate Milanese, ovvero in piena zona rossa». Il decreto.
A decisione di segno opposto è giunto il Tribunale di Sorveglianza di Milano che, con ordinanza del 31/03/2020, ha disposto il differimento pena nelle forme della detenzione domiciliare, ritenendo che le patologie di cui soffre il detenuto « possano considerarsi gravi, ai sensi dell’art. 147 co.1 n. 2 c.p., con specifico riguardo al correlato rischio di contagio attualmente in corso per COVID 19, che appare - contrariamente a quanto ritenuto dal MdS – più elevato in ambiente carcerario, che non consente l’isolamento preventivo». L'ordinanza.
Il G.U.P. del Tribunale di Trani, con provvedimento del 26/03/2020, rigetta l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il G.U.P. afferma che «lo stato di restrizione, in ambiente difficilmente permeabile dall’esterno (…) meglio garantisce la salute del detenuto». Il provvedimento.
United States District Court - Eastern District of Michigan, provvedimento del 27/03/2020. La Corte ha ritenuto che «the danger posed to Defendant in the Saginaw County Jail by the COVID-19 pandemic constitutes an independent compelling reason to temporarily release him from custody». Il provvedimento.
Il 01/04/2020 la Procura Generale della Corte di Cassazione ha diffuso una nota avente ad oggetto indicazioni per i Pubblici Ministeri per la riduzione della presenza carceraria durante l'emergenza di coronavirus, dove si invita ad incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere, arginando la richiesta e l’applicazione delle misure a rischio e procrastinando l’esecuzione delle misure già emesse dal GIP. La nota.
Tribunale Penale di Velletri in composizione collegiale e in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 07/04/2020 accoglie l’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, sulla base della sentenza n. 32 del 12/02/202 della Corte Costituzionale sulla irretroattività della c.d. legge “spazza corrotti”. L'ordinanza.
Il Tribunale penale di Palmi, con ordinanza del 10/04/2020 ha deciso la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari ritenendo che «il quadro patologico cui è affetto l’imputato pone in serio pericolo la salute dello stesso in ragione dell’epidemia di COVID 19 che sta investendo il nostro paese» e che, «stante l’emergenza del momento appare del tutti inopportuno il ricovero dell’imputato in una struttura ospedaliera impegnata in questo momento a fronteggiare l’epidemia di COVID 19». L'ordinanza.
Recentemente, anche la rivista giuridica “Giurisprudenza Penale” ha pubblicato on-line alcune delle prime pronunce di merito che hanno interessato detenuti, anche “assolutamente ostativi”, nell’ambito della emergenza sanitaria di COVID 19. I provvedimenti.
Il Magistrato di Sorveglianza di Torino, nel mese di aprile, ha disposto in via provvisoria il differimento dell’esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 quater O.P. in favore di detenuto risultato affetto da Covid-19, ritenendo che le sue condizioni di salute «appaiono inconciliabili con il regime detentivo». Nell’ordinanza, si fa riferimento a una nota trasmessa dalla Direzione sanitaria del carcere, in cui si riferisce che il soggetto è «a rischio di improvvise crisi di insufficienza respiratoria, che non sarebbero trattabili in questa sede, in assenza di impianto di ossigenoterapia. Anche il ricorso al 112 richiederebbe dei tempi di interventi che non garantirebbero rispetto alla sopravvivenza del soggetto». L'ordinanza.
L’Ufficio di Sorveglianza di Venezia, con l’ordinanza del 07.04.2020 ha concesso la detenzione domiciliare ex art. 123 DL 18/2020 nei confronti di una detenuta. Tuttavia, poiché la stessa aveva una pena residua superiore a sei mesi, ha disposto l’inizio della esecuzione domiciliare della pena detentiva «non appena sarà messo a disposizione il dispositivo di controllo elettronico», ovvero il c.d. braccialetto elettronico. L'ordinanza.
L’Ufficio di Sorveglianza di Milano con l’ordinanza del 20/04/2020, applicando l’art. 47 ter co. 1 ter O.P., ha disposto il differimento della pena in favore di persona condannata per associazione a delinquere di stampo mafioso, «tenuto conto dell’attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio […] che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani ed affetti da serie patologie pregresse». Tale misura, infatti, può essere applicata, in ragione delle superiori esigenze di tutela della salute, anche a detenuti autori di reati di cui all’art. 4 bis O.P. L'ordinanza.
"Il primo detenuto morto per covid-19 conferma tutte le nostre preoccupazioni sulle conseguenze tragiche di un contagio all'interno delle carceri. Per questo non si può più perdere tempo. Bisogna subito intervenire per ampliare le insufficienti misure previste nel decreto Cura-Italia. Bisogna mandare agli arresti domiciliari almeno altri 10.000 detenuti tra quelli che hanno un fine pena breve e coloro che soffrono di patologie o hanno età per cui un contagio potrebbe essere fatale. Sappiamo che il 67% dei detenuti ha almeno una patologia sanitaria. Di questi l’11,5% era affetto da malattie infettive e parassitarie, l’11,4% da malattie del sistema cardio-circolatorio, il 5,4% da malattie dell’apparato respiratorio. Inoltre che il 62% dei reclusi ha 40 anni o più e che, al 31 dicembre 2019, ben 5.221 persone avevano più di 60 anni. In questo momento di grande sforzo da parte del governo il carcere rischia di essere un luogo a rischio anche per gli operatori. Oltre 120 poliziotti sono già risultati positivi, senza contare medici, infermieri penitenziari e ovviamente i detenuti. Il governo deve intervenire subito".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Abbiamo appreso, dal decreto attuativo del "Cura-Italia", che i braccialetti elettronici messi a disposizione per il controllo delle persone detenute che potrebbero accedere agli arresti domiciliari sono 5.000, di cui 920 già disponibili. Il Provvedimento prevede l’installazione di un massimo di 300 apparecchi a settimana. Numeri ampiamente insufficienti per affrontare l'emergenza coronavirus e le ricadute drammatiche che potrebbe avere sul sistema penitenziario. Con il numero di installazioni attualmente previste, gli ultimi detenuti usciranno dal carcere infatti tra oltre tre mesi, quando ci auguriamo la fase acuta legata al diffondersi del Covid-19 sarà già ampiamente alle spalle". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Il Parlamento e il Governo insieme - prosegue Gonnella - devono disinnescare i rischi della bomba sanitaria in carcere, ponendo le condizioni affinché in carceri si assicuri distanziamento sociale a garanzia di detenuti e poliziotti. I detenuti con meno di due anni di pena sono circa 15 mila. Se due terzi di loro oggi uscissero le condizioni sarebbero nettamente migliorate. Si tratta di persone che vanno mandate agli arresti domiciliari entro un paio di settimane e non nell'arco di mesi, con forme di controllo diverse dal braccialetto, altrimenti dal punto di vista sanitario la misura non avrebbe senso. Noi - dice ancora Patrizio Gonnella - abbiamo presentato diversi emedamenti per arrivare all'obiettivo di ridurre in fretta i numeri, e qualsiasi intervento che vada in questa direzione è benvenuto".
“Ieri abbiamo inviato ai parlamentari delle commissioni bilancio e giustizia e a tutti i capigruppo parlamentari una serie di proposte emendative (che è possibile leggere qui) degli articolo 123 e 124 del decreto Cura-Italia. Si tratta di proposte che vogliono far accrescere la possibilità di avere provvedimenti di detenzione domiciliare, liberazione anticipata e affidamento al servizio sociale. Ciò che chiediamo è che vengano approvate affinché le carceri possano tornare ad una situazione di legalità che consenta di affrontare al meglio il diffondersi dei casi di coronavirus. Quello di cui abbiamo bisogno sono posti in terapia intensiva e non nuovi focolai”. Queste le parole di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a proposito delle proposte che l'associazione ha avanzato insieme a Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, Ristretti, Cnvg, Diaconia Valdese, Uisp Bergamo e InOltre Alternativa Progressista.