"L'episodio accaduto fuori dal carcere di Campobasso è quanto mai grave e stigmatizzabile. Apprezziamo l'iniziativa del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria che prontamente ha avviato gli accertamenti necessari sul fatto e un'eventuale azione disciplinare nei confronti dell'agente della polizia penitenziaria coinvolto".
A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito di quanto avvenuto ieri nel capoluogo molisano. Al rientro da una visita medica in ospedale un detenuto ha provato ad evadere. Prontamente raggiunto da alcuni agenti di polizia penitenziaria è stato fermato. Tuttavia, benché l'uomo pare fosse disarmato e non opponesse alcuna resistenza, al momento del fermo uno dei poliziotti intervenuti ha estratto la pistola di ordinanza e, caricatala, ha puntato la stessa più volte al volto del detenuto, mentre i colleghi tentavano di riportarlo alla calma. Le immagini di questo episodio sono state immortalate in un video amatoriale.
A questo link la scheda del nostro Osservatorio che offre maggiori informazioni sulla situazione del carcere di Campobasso.
Negli ultimi anni la Commissione Europea ha promosso con forza i diritti di imputati e arrestati, con particolare attenzione alla primissima fase di privazione della libertà, quella che va dall’arresto (o dal fermo) all’udienza di convalida. Lo ha fatto mettendo a punto e in parte applicando la tabella di marcia di Stoccolma, un insieme di direttive volte a rafforzare nel tempo i diritti di cui sopra. Spesso queste direttive vengono formalmente recepite dai vari paesi, ma nella pratica resistono ostacoli più o meno grandi che impediscono che gli arrestati beneficino dei diritti che queste prevedono (come raccontiamo più dettagliatamente in questo nostro approfondimento).
Il progetto Inside Police Custody, realizzato con il contributo della DG Giustizia e Consumatori dell’Unione Europea e a cui Antigone ha preso parte, ci ha permesso di svolgere una ricerca volta a misurare l’effettiva applicazione di tre delle direttive previste dalla roadmap di Stoccolma: una riguarda sia il diritto di arrestati e fermati a essere informati sui propri diritti che quello di accedere per tempo al proprio fascicolo, in modo da poter preparare una difesa adeguata; l'altra riguarda il diritto degli arrestati stranieri a essere assistiti da traduttori e interpreti che rendano loro intelligibile quanto accade; la terza e ultima riguarda invece il diritto all'assistenza legale in generale. L’obiettivo della ricerca era quello di vedere se e quanto questi diritti sono applicati, e quali sono gli ostacoli che ne impediscono il beneficio.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 17 gennaio 2019
Era la vigilia di Natale del 1992, e non era ancora stato arrestato Totò Riina, quando fu introdotta nell’ordinamento penitenziario la seguente norma: «Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi».
«L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari». Qualche mese prima era stato ammazzato Paolo Borsellino. Il parlamento però sentì la necessità di spiegare agli agenti di Polizia Penitenziaria, il cui Corpo era stato smilitarizzato da un paio di anni, e ai direttori di carcere che il corpo e il volto del reo non potevano in nessuna circostanza essere oggetto di curiosità pubblica. Molti di noi avevano ancora bene in mente le immagini di Enzo Tortora, condotto in carcere in manette da due Carabinieri. Immagini che lesero la sua e la nostra dignità.
L'aumento dei suicidi, la crescita del sovraffollamento, ed una "riformina" dell'ordinamento penitenziario. Sono questi alcuni dei tratti salienti che hanno caratterizzato il 2018 per quanto riguarda il sistema carcerario italiano.
Al 30 novembre, dopo 5 anni, i detenuti sono tornati ad essere oltre 60.000, con un aumento di circa 2.500 unità rispetto alla fine del 2017. Con una capienza complessiva del sistema penitenziario di circa 50.500 posti, attualmente ci sono circa 10.000 persone oltre la capienza regolamentare, per un tasso di affollamento del 118,6%. Il sovraffollamento è però molto disomogeneo nel paese. Al momento la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 161%, seguita dalla Lombardia con il 137%. Se poi si guarda ai singoli istituti, in molti (Taranto, Brescia, Como) è stata raggiunta o superata la soglia del 200%, numeri non molto diversi da quelli che si registravano ai tempi della condanna della CEDU.
Il recente DL Salvini ha introdotto la possibilità per i comuni italiani oltre i 100.000 abitanti di dotare gli agenti di polizia locale di pistole Taser. Un provvedimento contro il quale ci stiamo opponendo. Abbiamo infatti scritto ai consigli comunali e i sindaci delle città più grandi proponendo un ordine del giorno con il quale le stesse si impegnino a non adottare quest’arma.
"Da settembre in dodici città italiane era partita la sperimentazione dell’arma che oggi anche i corpi di polizia locale dei comuni potranno utilizzare. Un'arma pericolosa - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - soprattutto su quei soggetti affetti da problemi cardiaci e/o disturbi neurologici e su donne in stato di gravidanza, e che nella pratica viene utilizzata al posto dei manganelli e non delle armi da fuoco".
Vi è una crescita in termini assoluti, ma soprattutto in termini percentuali: mentre nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1.200, nel 2018 il rapporto è diventato pari a uno su 900. I dati dicono inoltre che dietro le sbarre ci si ammazza circa venti volte di più che nella vita libera
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 23 dicembre 2018
Nelle ultime ore ci sono stati due suicidi in carcere, uno a Messina e l’altro a Trento. Tra i detenuti che negli ultimi mesi si sono ammazzati ci sono anche un giovane senegalese e uno tunisino. Il primo si è suicidato qualche giorno fa nel carcere di Pisa, il secondo a settembre in quello di Civitavecchia. Il giovane senegalese era dentro da circa un mese in custodia cautelare per violazione della legge sugli stupefacenti; pare avesse una qualche forma di disagio comportamentale. Il ragazzo tunisino aveva venticinque anni. Si è ammazzato nell’istituto di Civitavecchia proveniente da quello romano di Regina Coeli. Da lui abbiamo ricevuto una lettera dopo avere saputo della sua morte; ne abbiamo informato le autorità inquirenti.
Quest'anno, fino ad oggi, sono stati 63 i suicidi nelle carceri italiane. Un numero così alto non si registrava dal 2011, quando furono 66. Erano stati 53 lo scorso anno, 45 nel 2016, e si erano fermati a 43 nel 2015. Vi è una crescita in termini assoluti e percentuali; mentre nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1200 detenuti presenti, nel 2018 se ne è suicidato uno ogni 950. Il tasso di suicidi nelle persone libere è pari a 6 persone ogni 100mila residenti. In carcere ci si ammazza diciannove volte in più che nella vita libera.
Benché i suicidi dipendano da cause personali che non è possibile generalizzare, è facile immaginare come le condizioni di detenzione possano contribuire al compimento di questo atto estremo. "Più cresce il numero dei detenuti - dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - più alto è il rischio che essi siano resi anonimi. L’alto numero delle persone recluse aumenta il rischio che nessuno si accorga della loro disperazione, visto che lo staff penitenziario non cresce di pari passo, anzi. I suicidi non si prevengono attraverso pratiche penitenziarie (celle disadorne o controlli estenuanti) che alimentano disperazione e conflitti. Né si prevengono prendendosela con il capro espiatorio di turno (di solito un poliziotto accusato di non sorvegliare il detenuto in modo asfissiante). Va prevenuta la voglia di suicidarsi più che il suicidio in senso materiale".
"La prevenzione dei suicidi - prosegue Gonnella - richiede l’approvazione di norme che assicurino maggiori contatti con l’esterno e con le persone più care, nonché un minore isolamento affettivo, sociale e sensoriale. Il carcere deve riprodurre la vita normale. Nella vita normale - sottolinea il presidente di Antigone - si incontrano persone, si hanno rapporti affettivi ed intimi, si telefona, si parla, non si sta mai soli per troppo tempo".
E' un periodo difficile per tutti.
Assistiamo a un restringimento drammatico degli spazi di democrazia e a un attacco senza precedenti alle associazioni e a chi crede nei diritti umani.
Negli ultimi mesi ci siamo opposti con forza al decreto sicurezza, alla proposta di legge sulla legittima difesa, al taser in dotazione a tutti. Da qualche settimana è entrata in vigore la riforma penitenziaria. Non è quella per cui abbiamo lottato ma ne monitoreremo comunque l'applicazione.
All'odio non risponderemo mai con l'odio. Alle fake news non risponderemo mai con le fake news. Continueremo a offrire il nostro punto di vista sulla pena, continueremo a raccontare quello che accade nelle carceri e a metterci a disposizione dei più deboli.
Il pensiero garantista non è mai stato un pensiero di maggioranza.
Questo però è un momento in cui è importante il sostegno popolare. Per questo vi chiediamo di aiutarci, di renderci sempre più indipendenti, di permetterci di raggiungere il record di iscritti nella nostra storia. Proprio oggi, sì, nel momento più difficile. Se non ora quando?
Iscriviti alla nostra associazione contro la retorica della pena come vendetta.
Patrizio Gonnella, presidente Antigone
Puoi iscriverti seguendo le istruzioni riportate a questo link, oppure contattando una delle nostre sedi regionali.
Scaffale. A più di 40 anni dalla sua prima edizione, torna un classico della letteratura sociologica, «Carcere e fabbrica» di Dario Melossi e Massimo Pavarini, edito dal Mulino
di Patrizio Gonnella da il manifesto 30/10/2018
C’è più di un modo per interpretare la crisi della democrazia e dello stato di diritto in cui siamo precipitati. Ci si può affidare a modelli economici, a tecnicalità giuridiche, ad approfondimenti geo-politici oppure leggere (o rileggere) uno straordinario classico della letteratura sociologia e penologica contemporanea quale è Carcere e fabbrica di Dario Melossi e Massimo Pavarini (Il Mulino, pp.336, euro 15). A tre anni dalla scomparsa di Massimo Pavarini, e a più di quaranta dalla prima edizione del saggio risalente all’oramai lontano 1977, il volume arriva nelle librerie, nelle università e nelle biblioteche italiane in un momento nel quale abbiamo eccezionalmente bisogno di strumenti critici approfonditi di analisi. Nella postfazione, lo stesso Massimo Pavarini scrive che «Carcere e fabbrica appartiene a quel movimento revisionista che legge il carcere e la cultura correzionalistica come necessità della modernità».
di Patrizio Gonnella (presidente Antigone) e Riccardo De Vito (presidente Magistratura Democratica) da il manifesto del 28 ottobre 2018
Il Sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone ha annunciato – in un post su Facebook ripreso dalle agenzie di stampa – di concordare con il Ministro Alfonso Bonafede sull’apertura al taser per la Polizia Penitenziaria, sostenendo la necessità di dotare, in via sperimentale, gli Istituti di pena di questo strumento di deterrenza. Aspettiamo di conoscere la posizione ufficiale del Ministro, ma auspichiamo davvero che si prendano le distanze da questa idea pericolosa e controproducente. Il sistema penitenziario non si può governare con le armi. L’introduzione della pistola elettrica nelle carceri – in spregio al disposto dell’ultimo comma dell’art. 41 dell’ordinamento penitenziario, in base al quale gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore – riporterebbe il carcere ad essere quel luogo violento, conflittuale e non conforme a Costituzione che il nostro Paese ha conosciuto fino a prima della riforma penitenziaria del 1975. Un carcere ben diretto, con un clima sereno al proprio interno, con un trattamento aperto, occasioni di intrattenimento, di formazione, di istruzione, di informazione riduce i tassi di conflittualità ben di più che qualche scarica di elettroshock.