Oggi inizia dal Senato l'iter Parlamentare della proposta di legge sull'allargamento del regime della legittima difesa.
"Una legge manifesto - secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - che si fonda sull’assenza totale di bisogni reali di prevenzione criminale e che metterebbe a rischio la sicurezza, attaccando principi giuridici consolidati del nostro ordinamento, intaccando il monopolio dell’uso della forza da parte delle Forze di Polizia, e che vorrebbe mettere il bavaglio ai giudici".
"Oggi i dati degli omicidi - sostiene Gonnella - sono ai minimi storici e incentivare il possesso e l'utilizzo delle armi non farà altro che far aumentare il numero dei morti nel nostro paese. Inoltre anche i numeri delle rapine sono incomparabilmente minori rispetto a quelle dei furti in casa. La differenza tra le due è appunto l'uso della violenza".
Nei giorni scorsi siamo stati a Timisoara a discutere di possibili azioni di mediazione a sostegno delle vittime. In carcere e fuori è importante che si sostenga chi ne ha bisogno, per via del reato subito e perché in condizioni di vulnerabilità. Lo abbiamo fatto nell'ambito del progetto SAVE per il quale è stato elaborato un'utile documento sulla legislazione europea che protegge le vittime (potete leggerlo qui).
Il progetto SAVE (Supporting Actions for Victims of crime), di cui Antigone è partner, e a cui partecipano anche l'associazione A buon diritto, la Cooperativa Sociale CRISI (Cooperativa Sociale - Centro ricerche interventi sullo stress interpersonale), l'associazione portoghese Animam Viventem e l'organizzazione rumena MISIT, (entrambe esperte in mediazione penale) è finanziato dalla DG Justice della Commissione Europea e ha una durata di 24 mesi. L'apporto specifico di Antigone consiste in particolar modo nella condivisione della conoscenza del sistema penitenziario dei bisogni dei soggetti più vulnerabili del sistema penale.
Tra gli obiettivi del progetto vi sono la condivisione della conoscenza e delle buone pratiche in materia dei diritti delle vittime; la creazione di un modello di servizi di assistenza alle vittime e più in generale l'implementazione della direttiva 2012/29/EU, che stabilisce standard minimi sui diritti delle vittime e sul sostegno la protezione che è necessario apportare loro.
Dal 17 settembre la nostra sede regionale di Antigone Molise ha dato il via ad una attività di sostegno per le esigenze dei detenuti del carcere di Campobasso e per le loro famiglie. Lo Sportello è operativo, per il momento, nelle sole giornate di martedì e giovedì (dalle ore 11 alle ore 13) presso la sede di Via Gioberti 20 (Passaggio a Livello San Pietro, Via Mazzini). Un gruppo di esperti, avvocati, medici, assistenti sociali, assicura consulenza a tutti i detenuti ed alle loro famiglie per l’approccio e la soluzione di problemi legati alle difficili opportunità di gestione.
Il 23 ottobre la legge per l’allargamento del regime della legittima difesa inizierà dal Senato il suo iter parlamentare. Questa proposta metterà a rischio la sicurezza, fondandosi sull’assenza totale di bisogni reali di prevenzione criminale.
Da qualche mese abbiamo lanciato una petizione popolare con la quale chiediamo al Parlamento di non approvare la legge. Attualmente 27.000 persone la hanno già firmata. In vista dell’approdo al Senato vogliamo rilanciare alcune iniziative per far sentire forte la nostra voce.
Mobilitati con noi. Ecco come puoi farlo:
Nei prossimi giorni inoltre organizzeremo altre iniziative per la consegna delle firme raccolte. Ne daremo notizia sul nostro sito e sui nostri account facebook e twitter e attraverso la nostra newsletter. Seguici (o iscriviti) per rimanere aggiornato su questa iniziativa.
Giustizia. La famiglia di Stefano Cucchi ha creduto fino in fondo nella legge, si è affidata ai giudici e alle istituzioni, si è mossa nel solco della legalità. Viceversa, coloro che hanno detto che per principio erano dalla parte dei carabinieri hanno manifestato una cultura che disprezza la legalità
di Patrizio Gonnella, il manifesto del 12 ottobre 2018
Il processo per l’omicidio di Stefano Cucchi resterà nella storia della giustizia italiana. Una storia fatta di violenza istituzionale, di morte, di coperture, di silenzi, di indifferenza, di opacità ma allo stesso tempo di determinazione, di forza morale, di rottura del muro della reticenza. Verità processuale e verità storica si stanno lentamente approssimando nonostante le umiliazioni e le dichiarazioni di quei politici che hanno urlato nel tempo una verità dogmatica e stereotipata.
Oggi, di fronte alla confessione di uno dei carabinieri che ha ammesso le violenze sul corpo di Stefano, sanno di ridicolo e tragico quelle frasi che si sono sentite nell’etere e lette sui social. C’è chi disse: «É morto perché era anoressico» (Carlo Giovanardi), chi chiedeva alla famiglia di Stefano «dove era quando lui si drogava» (Maurizio Gasparri), chi affermava che Ilaria Cucchi «mi fa schifo» (Matteo Salvini). A nove anni dalla morte di Stefano Cucchi ci sono tre parole, di cui una composta, che vengono esaltate da questa storia: empatia, spirito di corpo, legalità.
A distanza di nove anni dalla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre del 2009 nel reparto carcerario dell'ospedale Pertini, si fa finalmente un passo decisivo verso la giustizia.
La confessione di uno dei carabinieri attualmente sotto processo, il quale ha chiamato in causa a vario titolo gli altri suoi colleghi, squarcia il muro di omertà che in questi anni si era creato attorno a questo caso e che era stato rotto solo recentemente dalla testimonianza di un altro agente, Riccardo Casamassima.
Tuttavia questo muro non si sarebbe potuto abbattere se non fosse stato per la determinazione e la grande tenacia dimostrata in questi anni dalla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che mai un attimo ha smesso di lottare, e dall'avvocato Fabio Anselmo.
Finalmente ci avviciniamo alla verità. Ci auguriamo che in tempi brevi si arrivi al termine del processo e alle conseguenti condanne e si restituisca giustizia a Stefano e alla sua famiglia.
Crediamo inoltre che tutti quelli che propagandavano un'altra verità stereotipata ora dovrebbero chiedere umilmente scusa.
di Giuseppe Mosconi, Ordinario di Sociologia del Diritto e Presidente Antigone Veneto
La tragedia del duplice infanticidio di Rebibbia catalizza atteggiamenti di fondo sulla questione carceraria: Per chi vede la pena detentiva come necessaria e inevitabile, si tratta di separare, fin da subito, i bambini dalle madri detenute, tanto più se connotate da stereotipi negativi (drogate o psicolabili).
Per chi è disponibile verso possibili alternative, il rapporto mamma/bambino va preservato e attuato in strutture adeguate, che riproducano quanto più possibile i caratteri di una situazione normale. Ma di fronte al dramma non ha senso contrapporre opzioni di principio, se non si cerca di entrare a fondo nella situazione che viene a crearsi quando una madre è detenuta con i suoi piccoli.
Oggi il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma dell'ordinamento penitenziario. Le leggi approvate contengono alcuni passi in avanti nella nostra legislazione. Finalmente vi sono norme dedicati ai detenuti minorenni con maggiore attenzione ai loro bisogni educativi.
Tra quelle che salutiamo volentieri vi sono: l'applicazione della sorveglianza dinamica, un più ampio accesso alle misure alternative e di comunità (anche se restano troppi vincoli, come quelli ingiustificati dell'articolo 4bis), una minore possibilità di applicare l'isolamento.
La tragedia di Rebibbia: non si aggiungano danni alla tragedia provocata da una mamma detenuta
Lettera aperta di volontari, cappellani, operatori del sociale, del mondo del lavoro, della cultura, dello sport, della salute - Roma, 21 settembre 2018
La tragedia che si è consumata a Rebibbia ci ha lasciati senza fiato. Un dolore e un orrore che ha travolto tutti: i due bambini innanzitutto, quella madre che forse ancora non è consapevole di quello che ha fatto, tutti gli operatori dell’Istituto, le oltre trecento donne lì detenute, le loro famiglie e anche noi volontari, cappellani, operatori del sociale, del mondo del lavoro, della cultura, dello sport, della salute che ogni giorno entriamo in carcere per dare il nostro contributo affinché la pena risponda sempre più alle finalità dettate dalla Costituzione.
Patrizio Gonnella da il Manifesto del 20 settembre 2018
Di fronte a due bimbi morti e alla tragedia immane avvenuta nel carcere femminile di Rebibbia avremmo tutti dovuto chiuderci in un rispettoso silenzio. Di fronte a un fatto di cronaca così terribile il silenzio ha una forza etica imparagonabilmente superiore a chi spreca parole per spiegare, strumentalizzare, sentenziare.
Una rottura del silenzio, anche da parte mia, è però necessaria per svelare il gioco del capro espiatorio e per restituire dignità a persone che la meritano.