Repressione. In dodici città italiane viene introdotta l'arma che ha già suscitato proteste negli Stati Uniti, come racconta la maxi inchiesta di Reuters. Altissimo il rischio di abusi.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 06/09/2018
Da ieri una settantina di agenti in dodici città per i prossimi tre mesi (Milano, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Palermo, Genova, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia, Brindisi) avranno in dotazione una pistola che spara scariche elettriche. La pistola è comunemente chiamata Taser dal nome della prima ditta produttrice (che però oggi si chiama Axon Enterprise).
L’ESPERIENZA statunitense, fortemente contestata da Amnesty International, dall’American Civil Liberties Union, dai gruppi di advocacy americani Truth Not Tasers e Fatal Encounters, ha evidenziato come quest’arma a partire dal 2000 negli Usa sia stata potenzialmente mortale. Essa non è stata usata come alternativa meno violenta rispetto alle tradizionali pistole che sparano pallottole ma come più facile e meno faticosa alternativa alla parola, alle manette, all’opposizione fisica.
STRAORDINARIA per cura e ampiezza è la ricerca dei giornalisti della Reuters che la scorsa estate ha pubblicato sul web un’inchiesta approfondita sui danni collaterali da Taser. L’indagine giornalistica è stata costruita a seguito della visione di documenti giudiziari, rapporti di polizia, autopsie, certificati medico-legali e notizie di stampa locali. Dunque in un arco di tempo pari a circa sedici anni, oltre mille sarebbero state le persone morte negli Stati Uniti in scontri con la Polizia a causa dell’uso dell’elettroshock. In ben 153 casi la Reuters ha scoperto che i medici legali hanno esplicitamente citato la pistola Taser come causa della morte. In 442 casi di uso improprio della Taser sono state presentate denunce da parte dei parenti delle vittime che per ora sono costate, in termini di risarcimenti alle istituzioni o alle assicurazioni, ben 172 milioni di dollari.
Dal prossimo 5 settembre, in 12 città italiane, sarà sperimentata la pistola taser. Ad annunciarlo è stato il Ministro dell'Interno Salvini. È importante tuttavia sapere cosa è accaduto negli Stati Uniti che, primi fa tutti, hanno introdotto l'uso di questo dispositivo di elettroshock.
Secondo le indagini effettuate da Amnesty International e dall'agenzia di stampa britannica Reuters, a partire dal 2000, anno di introduzione del taser, sarebbero stati circa 1.000 i morti a causa di questo tipo di pistola. Molti studi medici hanno certificato che per persone con precedenti disturbi neurologici o cardiaci la pistola taser ha rischi mortali. La stessa azienda produttrice americana è stata costretta ad ammettere che nello 0,25% dei casi c'è rischio di morte. Una percentuale allarmante.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 12 agosto 2018
Dopo la denuncia del Garante nazionale delle persone private della libertà il ministro della Giustizia e il capo dell’amministrazione penitenziaria hanno annunciato un’ispezione che faccia luce sui 35 suicidi avvenuti dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane.
I suicidi in carcere non vanno genericamente strumentalizzati. Sarebbe ingiusto nei confronti di chi fa una scelta così tragica e di chi lavora in prigione. Una persona in carcere è nelle mani dei suoi custodi legali. Non perde però la sua libertà interiore. Molto spesso accade che dopo un suicidio parta la caccia ingiusta al responsabile, spesso identificato nel poliziotto di sezione. Nelle carceri la prevenzione dei suicidi è spesso intesa in senso meccanico. Una volta identificata la persona a rischio le si toglie, non l’intenzione, ma ogni oggetto con cui possa ammazzarsi: lenzuola, asciugamani, cinture. Capita che si lasci quella persona semi-nuda o semi-vestita in cella. Il controllo visivo viene reso asfissiante. Tutto questo accade perché le inchieste giudiziarie sui suicidi sono sempre state dirette a identificare i responsabili del mancato controllo piuttosto che le cause più profonde dello stesso, così alimentando un circolo vizioso che rende la vita del detenuto ancora più difficile.
Lunedì scorso nell’ospedale di Viterbo è morto Hassan Sharaf, un ragazzo egiziano di 21 anni, arrivato lì in fin di vita dopo essersi impiccato nella cella di isolamento, dove era stato condotto da poche ore, della locale casa circondariale.
“Quello che chiediamo, dopo questo suicidio, è che si faccia un’indagine approfondita anche alla luce di quanto esposto dal Garante regionale sulle presunte violenze che avverebbero a Viterbo. Quello di Hassan è la terza morte avvenuta in questo carcere nei primi sette mesi dell’anno, la seconda a seguito di un tentativo di suicidio compiuto in isolamento, segno di un malessere diffuso le cui cause devono essere portate pienamente alla luce”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
“Nel caso specifico di questo ragazzo poi – prosegue Gonnella – c’è da accertare se corrisponda a realtà quanto starebbe emergendo, ovvero che il ventunenne fosse in carcere per un reato commesso da minorenne. Se così fosse avrebbe dovuto essere recluso presso un Istituto di Pena per Minorenni. Anche in questo caso – conclude il presidente di Antigone – andrebbe quindi accertato cosa è accaduto".
Calano gli ingressi in carcere dalla libertà (sono stati 24.380 nei primi mesi del 2018 erano stati 25.144 nel primo semestre del 2017), segno di un’attività criminale non in aumento – come del resto sottolineano le statistiche sui reati commessi – ma continuano a salire i detenuti, anche se di poco, aumentati di circa 700 unità negli ultimi 5 mesi. Al 30 giugno 2018 erano 58.759, 8.127 in più rispetto alla capienza regolamentare.
È quanto emerge dal rapporto di metà anno sulle carceri della nostra associazione, nel quale abbiamo dedicato ampio spazio anche alla questione stranieri. Non c’è un’emergenza stranieri e non c’è un’emergenza sicurezza connessa agli stranieri. La detenzione degli stranieri in Italia è diminuita di oltre 2 volte negli ultimi 10 anni. Se nel 2008 il tasso di detenzione (numero dei detenuti stranieri sul numero degli stranieri residenti in Italia) era dello 0,71%, al 30 giugno di quest’anno il tasso è dello 0,33%. I detenuti stranieri sono addirittura diminuiti in termini assoluti rispetto al 2008.
L'associazione regionale appoggia la richiesta di chiarezza del Garante Nobili. "E' capitato quello che temevamo. Da tempo abbiamo segnalato i problemi delle persone ristrette a Villa Fastiggi che hanno doppia diagnosi e problemi sanitari. Ora, si risolva la situazione".
"Abbiamo visto una persona dimagrire 15 chili in meno di un mese, autolesionarsi ed essere totalmente dissociata dal mondo circostante, eppure venire dichiarata compatibile con il regime penitenziario. Tanto compatibile che in molti erano preoccupati per la situazione e ora, dopo circa un anno di richieste di misure alternative per problemi gravi di salute, si trova nel reparto psichiatrico di un ospedale regionale. Ne abbiamo vista un'altra con disabilità e seri problemi fisici dover rinunciare al diritto a presentarsi al suo processo perché non aiutata nei difficili spostamenti ed essere considerata "noiosa" perché si lamenta della situazione che vive".
Queste le parole dell'associazione Antigone Marche alla notizia dell'uomo di 35 anni che si è suicidato all'interno della Casa Circondariale di Villa Fastiggi nei giorni scorsi.
La Corte Costituzionale con la sentenza numero 149 depositata in data odierna ha dichiarato che è incostituzionale negare i benefici ad alcune categorie di detenuti ergastolani. "Nella sentenza - si legge nel comunicato ufficiale - la Corte ha censurato il rigido automatismo stabilito dalla legge penitenziaria, che impediva al giudice di valutare i progressi compiuti da ciascun condannato, sacrificando così del tutto la funzione rieducativa della pena sull’altare di altre, pur legittime, funzioni".
La sentenza sottolinea, in particolare, come siano incompatibili con il vigente assetto costituzionale norme “che precludano in modo assoluto, per un arco temporale assai esteso, l’accesso ai benefici penitenziari a particolari categorie di condannati (…) in ragione soltanto della particolare gravità del reato commesso, ovvero dell’esigenza di lanciare un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalità dei consociati”; ed evidenzia come le conclusioni da essa raggiunte siano coerenti con gli insegnamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui gli Stati hanno l’obbligo “di consentire sempre che il condannato alla pena perpetua possa espiare la propria colpa, reinserendosi nella società dopo aver scontato una parte della propria pena”.
di Patrizio Gonnella, da Il Manifesto del 21 giugno 2018
La proposta della Lega sulla legittima difesa è un atto di sfiducia nei confronti dello Stato, delle forze dell'ordine, dei giudici, di studiosi e giuristi. Essa significa abdicare alla funzione di controllo dell'ordine pubblico da parte delle polizie.
Significa dare un messaggio per la proliferazione delle armi e del loro uso scriteriato, non fidarsi dei giudici e del loro sapiente lavoro di indagine e analisi dei fatti. La proposta, fortemente voluta dall'attuale sottosegretario leghista al ministero degli Interni Nicola Molteni, ripropone quella già presentata nella scorsa legislatura. Essa prevede, in modo contorto, una sorta di presunzione assoluta di legittima difesa nonché il solito aumento di pena per il furto in appartamento. Di aumento in aumento - è il terzo negli ultimi anni - puniremo il ladro quanto un terrorista dell'Isis.
"Nel contratto di governo sottoscritto da Lega e Movimento 5 Stelle c'è un capitolo, l'undicesimo, che desta grande preoccupazione in quanti hanno a cuori la difesa dei valori costituzionali. Per questo abbiamo inviato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appllandoci alla sua carica istituzionale di custode dei valori della nostra Costituzione, affinché non si cancellino principi fondamentali che non possono essere nella disponibilità di alcuna forza politica". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che dal 1991 si occupa di garanzie nel sistema penale e penitenziario.
Nel capitolo in oggetto, denominato “Giustizia rapida ed efficiente” le pene, che la nostra Carta Costituzionale declina al plurale, vengono interamente schiacciate sul solo uso del carcere, togliendo spazio a ogni misura alternativa alla detenzione che sappia davvero recuperare il condannato alla vita sociale.
Nei giorni scorsi osservatori della nostra associazione sono stati in visita nel carcere di Bari e in quello femminile di Trani per monitorare le condizioni di detenzione.
Ciò che emerso nell'istituto barese è un’impennata del numero di detenute della quale, gli stessi operatori, non si danno una spiegazione. Per una capienza di 299 posti letto, i detenuti presenti erano 353 alla fine dello scorso gennaio, mentre sono arrivati a 442 al momento della nostra visita. Di recente si è dovuto aggiungere il terzo letto a castello in tutte le sezioni di media sicurezza e molti dei detenuti sono costretti in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 mq, al limite di quanto previsto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, prima che si configuri la violazione dell'art. 3 della Convenzione Europea, riguardante il trattamento inumano e degradante. Al momento della visita gli stranieri erano 76, provenienti principalmente dal’Albania, la Georgia e la Somalia, e i detenuti con una sentenza definitiva 136. 108 i detenuti nella sezione di Alta Sicurezza.
In molte sezioni si cerca di rispettare le indicazioni sulla sorveglianza dinamica e la possibilità di stare fuori dalla propria cella per almeno 8 ore al giorno, anche grazie allo sforzo degli operatori nel tentare di organizzare una vita interna conforme agli standard legali.